Le implicazioni di tutto ciò per il modello della documentazione fossile umana sono abbastanza ovvie. Le differenze morfologiche fra noi e i nostri più antichi progenitori noti sono profonde. Se usiamo la quantità media di differenza fra specie di primati strettamente imparentati come metro (ovviamente, solo molto approssimativo) sembra evidente che un gran numero di speciazioni — molto più alto del numero di specie convenzionalmente riconosciuto nella documentazione fossile umana — deve avere richiesto il raggiungimento di quel notevole grado di mutamento morfologico che osserviamo nel corso della nostra storia biologica. È così anche se recenti scoperte della biologia molecolare (che ora, per la prima volta, sta realmente cominciando a collegare meccanismi genetici a meccanismi evolutivi) indicano che mutamenti genetici minimi possono talvolta sortire effetti di sviluppo e morfologici di vasta portata. E sebbene sia disposto a riconoscere che cambiamenti radicali a breve termine di questo tipo sono stati significativi in determinati punti della storia evolutiva della nostra famiglia, ho anche la sensazione che abbiamo quasi certamente sottostimato il numero delle specie effettivamente presenti nella documentazione fossile umana nota.
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K E Y W O R D S
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[] I. T a t t e r s a l l, ‹I l c a m m i n o d e l l’ u o m o›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 1.
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