La maggior parte delle persone disposte ad accettare l’idea che l’umanità abbia una storia evolutiva tende a concepire la nostra evoluzione come un lento processo di perfezionamento svoltosi in un lungo arco temporale. Se questo fosse vero, in retrospettiva conferirebbe una certa inevitabilità al fatto di essere diventati quello che siamo. Anche numerosi paleoantropologi — coloro che studiano la documentazione fossile umana — trovano più comodo vedere la nostra storia evolutiva come la lunga, faticosa e ostinata marcia dalla condizione di bruti a quella di esseri illuminati. Hanno persino inventato il termine «ominazione» per descrivere il processo attraverso il quale siamo diventati uomini, rafforzando quindi l’impressione che vi sia stato qualcosa di unico non tanto in ciò che siamo diventati quanto nel modo in cui si sono svolte le cose. Evidentemente è un sentiero pericoloso da seguire: oltre a incoraggiarci nella nostra innata tendenza a considerarci speciali, orienta verso un’eccessiva e fuorviante semplificazione della complessa storia umana. Noi non siamo stati sospinti verso l’attuale posizione nella natura da una forza invisibile — la selezione naturale o altro — ma ci siamo arrivati attraverso la via più ardua. In parte, la scienza è giunta a questa conclusione gradualmente, man mano che lo studio dei resti fossili dei nostri progenitori ci ha costretti ad abbandonare l’idea che la nostra storia biologica sia consistita in un semplice avanzamento lineare. Ma lo abbiamo imparato anche attraverso una crescente consapevolezza delle complessità del processo evolutivo stesso.
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K E Y W O R D S
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[] I. T a t t e r s a l l, ‹I l c a m m i n o d e l l’ u o m o›, B o l l a t i B o r i n g h i e r i, 2 0 1 1.
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