PeSU (1979, n. 2) • Le malie della strega (15)

  •  P o g g i a l i  (1 9 7 9)  •  P s i c o t e r a p i a  e  S c i e n z e  U m a n e,  n. 2  •

Queste considerazioni, forse eccessivamente lunghe e schematiche ad un tempo, mi sono state necessarie perché ritengo che anche Fagioli vada collocato in questo spazio, e che non si possa dire alcunché su di lui se non si parla per intero di tutta la psicoanalisi. Egli incarna per eccellenza una delle modalità tipiche di uscire dalle difficoltà sopra accennate. Una modalità che consiste precisamente nella riorganizzazione e riformulazione del quadro onto-antropologico, già assunto come primum movens e come luogo dove si gioca la legittimità della attività analitica e ogni sua possibilità. Tale operazione si impone — al di là dei contenuti sui quali si esercita — a partire dall’instaurazione di un rapporto vincolante fra «Discorso sull’uomo» e psicoanalisi. Di tale Discorso essa non è che l’inveramento e il dispiegamento adeguato. In questo connubio essa porta in dote alla visione del mondo la propria subalternità che continuamente si mostra nella richiesta e nell’ottenimento di senso. Come tale la prassi analitica non c’è, non sa niente. Ogni cosa che essa può dire, è detta altrove e da questo altrove riceve senso. In questa prospettiva, ciò che l’attività analitica non possiede ritorna ad essere — preanaliticamente — una mera insufficienza. Ciò di cui invoca il possesso, è ciò che da sempre si desidera possedere o si ritiene di possedere: la possibilità di una qualche inscalfibile pienezza di senso.

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K E Y W O R D S
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