Nello stesso momento il senso complessivo della prassi terapeutica e uno per uno tutti i momenti critici del suo discorso su Freud e sulla tradizione psicoanalitica sono ‹dedotti› dal II capitolo di «‹Istinto di morte e conoscenza›». L’antropologia freudiana espressa nella teoria della libido e degli istinti viene ribaltata: nelle prime 100 pagine di «‹Istinto di morte e conoscenza›» si propone una «scena dell’origine» che è il complementare di quella freudiana. Il neonato di Fagioli non è un polimorfo perverso dilaniato da una aggressività cieca e distruttiva e poi alla ricerca dello specchio precario in cui ricomporre il caos devastante di pulsioni parziali che lo attraversa come i terremoti e i dinosauri percorrevano il mondo delle origini. Il suo neonato ‹sa›, possiede un sapere. Un sapere formatosi nella connessione fra il feto e il liquido amniotico. Un ‹sapere› che è questa connessione. Il sapere, e il modello di ogni sapere «autentico», che ogni volta nasce strappato alla tentazione della morte, della pazzia; che ogni volta sono la tentazione di non riconoscerlo, di negarlo come «sapere specificatamente umano»; e che sono — nell’ontogenesi che ci viene proposta — il rifiuto di nascere, la tentazione di «far sparire» la nascita. Da qui inizia tutto. Fagioli «nomina» l’origine e, ‹di conseguenza›, dà senso al mondo. Le prime cento pagine di «Istinto di morte e conoscenza» finiscono per diventare il fonte battesimale dell’umanità.
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K E Y W O R D S
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