Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a68-70)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Quello che altri hanno fatto per distruggere gli uomini non è colpa nostra, non è nostra colpa se sono riusciti a distruggere in alcuni il desiderio del petto. Lo hanno fatto anche per ricattare noi dicendoci sempre “Se tu ti permetterai di essere, se penserai di muoverti, ucciderai tuo fratello”.

Lo hanno fatto per costringere le possibilità e la creatività umana ad assistere i matti che loro hanno fabbricato. Per costringere anche l’arte ad un destino di sedativo, ridotta a calmare la pazzia degli uomini sempre pronta a distruggere una società che è rimasta fondamentalmente… stronza.

E lo fanno sempre di andare a cercare i burattini ingenui cui affidare le Marte impazzite; per liberarsene dopo averle distrutte. Coazione a ripetere di una faccenda schizofrenica di castrazione, di controllo, introiezione e proiezione ed eliminazione del proiettato: far sparire quanto ormai, ‹dopo›, è repellente e fastidioso. “Almeno stessero calmi…”.

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K E Y W O R D S
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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a66-67)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Per questo, bisogna togliersi la superbia di essere più bravi, bisogna togliersi la bramosia per la creatività. Lasciare che venga nel momento che c’è. Basta lottare contro le realtà non umane, lasciare che altri si realizzino liberamente. Allora nessuno ha colpa se alcuni sono creativi. Neppure tu nei confronti di tuo fratello.

Perché è come tornare al destino che tanto combattiamo. Esseri umani biondi, bruni, alti, bassi, uomini e donne. Nessuno ha colpa per essere nato uomo e donna. Non ha colpa nel momento in cui la propria differenza, la propria originalità è gioia di soddisfazione del desiderio per gli altri.

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K E Y W O R D S
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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a62-65)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Hai fatto l’impossibile, di cercare e trovare la pace nel luogo che doveva essere la tua morte. La pace che ti ha permesso di gettare il giudice dal balcone senza colpa.

Ora si tratta di fare un altro impossibile. La realizzazione della creatività senza la morte dei fratelli che non l’hanno. La realizzazione della creatività per i fratelli che non l’hanno.

Ma, per questo, bisogna raggiungere quella purezza che non ammette nessuna cecità nei riguardi della realtà umana, quella purezza che nel mondo c’è stata, nei versi di Shakespeare, nelle note di Bach, Mozart, Beethoven.

O, meglio, non occorre raggiungerla. Basta spendere la vita a cercarla. Allora non ci sono sensi di colpa. Allora non si paga quanto si trova. È un caso. È trovare per caso le perle, per il caso che piaceva ad Epicuro. Una perla in mezzo a mille conchiglie vuote.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a60-61)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

L’inconscio lo sa che i fratelli fortunati fanno morire i fratelli scemi, lo sa che la vitalità, la fantasia, la creatività devono affrontare il conflitto atroce di essere accusate di nazismo. Ale.

Ma tu sei artista, grande, ed hai sopportato il conflitto atroce di essere convinto che Sciabola, alleato, secondo te, all’istituzione-giudice, ti avrebbe ucciso per la vecchia colpa di aver schiaffeggiato le istituzioni. E venisti tormentato dalle Erinni, come Oreste, a sederti nel bosco sacro alle Eumenidi.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a57-59)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Lo sai che c’è, prima di tutto, quel lavoro di lotta dialettica contro coloro che sono completamente astratti, che riescono a dominare facendo sparire gli esseri umani e le nascite. Quelli che non hanno neppure la vitalità che porta alla rabbia. Quelli che riescono a fantasticare il mondo pieno di tombe e che, se non uccidono materialmente, è soltanto perché non hanno la rabbia sufficiente. I gestori dell’istinto di morte.

Anche se, il tuo inconscio lo sa, la vitalità e la fantasia si scontrano con i fratelli pazzi che sentono nostalgia per il petto bianco e vermiglio delle Lucie di buona famiglia. Sa che alcuni, i più pazzi, sono esclusi dalla gioia del figlio che nascerà da quel petto. Disperati e ancora più pazzi per non aver avuto la resistenza di tenere il legame con esso.

Per non essere riusciti a sostenere il desiderio senza fantasia, il rapporto senza creatività. Quel desiderio che diventa quella rabbia che fa soltanto urlare ottenendo in cambio l’invito-comando di stare calmi.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a54-56)

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E per l’interesse evidente a tutti gli altri del gruppo che, protestando, avevano deciso di ucciderlo, viene ripreso dall’antico amore per la realtà materiale che lo aveva reso originalmente ribelle dieci anni prima e che, dieci anni prima, lo aveva reso creativo nella sua rivolta alle istituzioni annullanti, ma colpevole per non aver capito la storia dell’uomo.

È l’interesse che non ha mai capito e che non capisce, la ricerca nei confronti del quale resta nell’aria come la domanda di Marta e Sciabola: “Ma che cosa sono io per te?”

Ma, in fondo, lo sai. Perché nella non risposta c’è però il volgersi verso la strada dove c’è il giudice stupido che riesce a manifestare la fiacca rabbia lanciando ridicoli sassi contro coloro che cantano la loro voglia di vivere.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a52-53)

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Ma, al di là della negazione, l’amore per il rosso che lui ha trascinato e nel quale si è rifugiato come in una caravan, lo lega a Sciabola, come l’unico amore rimasto al bambino per un animale che si porta dietro ovunque vada, unica speranza di vita di fronte agli uomini neri e selvaggi.

E si lascia sverginare da una concretezza che non si aspettava, in un rovesciamento della sua tendenza al suicidio nell’offrirsi ingenuamente agli uomini. Per la frustrazione di un pene che lacera la rete furba di una perversione logica che lo portava ad accontentare l’identificazione con il fratello suicida, proprio nel suo essere artista e nell’offrirsi, di conseguenza, come le donne, agli altri per essere violentato.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a49-51)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Lasciamo che si faccia la storia perché è artista, perché pur picchiato, leso, stanco, quasi disperato, è riuscito a conservare la curiosità che gli permette di acconsentire all’invito del suo giudice personale di andare da uno Sciabola. E porge la sua fantasia, offrendo ancora una volta alla morte quanto gli rimane. Un esploratore vecchio, i selvaggi, una caravan rossa.

Si immerge nell’intricatissima giungla dell’inconscio, confondendo quanto è in lui e di lui e quanto è esterno a lui. È lui l’esploratore vecchio, ma è anche, per lui, l’analista di cui non vuol riconoscere una età di giovinezza che è restata tale, negli anni, per non aver pagato agli dei la propria rivolta.

Riesce a dirci della magnifica, vitale, giovinezza di Sciabola, della sua libertà; ma non della saggezza che colloca in Anna, come se fosse staccata, lontana dal sentire immediato, sensibilissimo, quello che fa cambiare espressione al burattino violento, truffatore, cinico, quando sente le fantasticherie distruttive del giudice che vorrebbe riempire il mondo di tombe.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a45-48)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Ed è così che mentre noi, i più vicini, possiamo vedere con lui, nel giudice l’istituzione psichiatrica e il primo seminario identificato con essa, in Marta e Sciabola altri seminari, in Anna il quarto seminario, tutti possono vedere, anche se non lo dicono, una storia di illuminismo e medioevo, una storia di istituzioni e rivoluzioni, e, al di là ancora, una storia di coscienza e inconscio, di un conflitto secolare di inconscio e coscienza.

Come anche possiamo vedere la dinamica interumana di rapporto inconscio analizzando-analista nella dinamica Marta-Sciabola, Marta-Anna, giudice-Marta. E nei bambini i compagni, e nei bambini gli scritti sul mondo psichico che si appellano, richiamandola, alla vitalità degli uomini. Ma tutti possono vedere la dinamica tragica del rapporto degli uomini con altri scritti, con una teoria che, dato il movimento, abbandona poi tutti al marionettismo della cravatta e del battesimo.

Possiamo vedere, tutti, una ricerca fusa alla speranza nel mettere insieme l’inconscio alla coscienza, nel momento in cui la riservatezza e i parchi discorsi di Marta ci dicono della necessità di scoprire che soltanto l’emergenza dell’inconscio sulla coscienza illuministica può ridare vita agli esseri umani.

Rivoluzionando così l’altra novella, quella di Faust, in cui la speranza di una scienza, riscatto dell’uomo dalla distruzione, veniva pagata dalla perdita dell’anima lasciata alla demoniaca indifferenza.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a42-44)

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Ma l’arte come trasformazione degli esseri umani non è illuminazione, è prassi di ricerca costante. E quanto è riuscito a fare, un film che i più sensibili dichiarano essere una seduta analitica, è conseguenza di più di quattro anni di lavoro e ricerca.

Non facile da ricostruire per l’intreccio continuo tra fantasia e conflitto, tra realtà e fantasmi, tra interesse e negazioni. Storie individuali e collettive, eventi personali ed eventi storici, pensieri personali e cultura secolare. E lui, per primo, ci insegna, nel film, della coscienza e inconscio, del manifesto e latente, della buona fede e delle pulsioni.

Ci insegna della genialità del rappresentare e del parlare allorché il fatto particolare e concreto, una storia, ci dice della storia, del generale storico al di là della novella.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a39-41)

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Ora è guarito dal sordomutismo ma perché non paghi bisogna che si faccia la storia. Ha sentito, interpretato, detto. Ha fatto parlare gli attori con la maestria che lascia la gente a cercare aggettivi superlativi. E dicono della bravura di Giorgio, di Piccoli, di Aimée, di Burinato, di Placido.

Ma non dicono della bravura del regista che comunica la storia, che si esprime per far interpretare ad altri quanto è nella sua fantasia. Negano l’arte di far realizzare ad altri quanto il volere dell’autore determina.

E lui si lascia negare, uccidere e derubare, e non può fare altrimenti fintanto che non realizzerà, nel tempo, il quando, il come e il perché è riuscito a fare un bambino. Fin quando non troverà il significato reale delle parole, investimento sessuale, che ora ripete tra sé domandandosi anche come si diranno in francese, come cercando un’illuminazione improvvisa in un’altra lingua.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a36-38)

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La luce, la musica, il linguaggio di ‹Salto nel vuoto› ci danno la recettività di sentire e scoprire il latente, la genialità di esprimerlo e raccontarlo agli altri. L’amore per lo scrittore è ora qualcosa di diverso dall’antico amore per gli scritti di Marx e Lenin che lo aveva portato a perdere il bambino. Ora c’è un bambino senza sensi di colpa.

Nessuno gliela darà. Se la troverà da solo realizzando la morte di Ale, passando attraverso la tragedia di essere come la sorella sordomuta avendo perduto per sempre la capacità di sentire ed esprimersi.

Il salto da Giulia ad Anna è forse il salto nel vuoto di un abisso di incurabilità nel quale, come nei sogni, si precipita sempre senza mai toccare il fondo. Possibilità di un rapporto con qualcuno simile a noi che ci fa morire, impossibilità di un rapporto con qualcuno diverso da noi che ci fa vivere.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a33-35)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Ma lasciamolo ora; lasciamo che si faccia la ricerca impossibile sull’assenza dei sensi di colpa, assenza che mette così evidentemente in Sciabola e così latentemente in Anna. Lasciamo che si faccia la storia, quella storia che lo ha visto giungere vecchio, calvo, sdentato, impotente, ad iniziare la rinascita facendo l’amore con la madre. A sfidare un’altra volta l’impossibile, a rapportarsi ad una realtà materiale di un gruppo di persone che di umano avevano soltanto il corpo. E lui, impotente, ha dovuto far l’amore con una realtà materiale che racchiudeva ed esprimeva quanto lo ha terrorizzato fin da piccolo in una famiglia malata: il sordomutismo, la pazzia, il suicidio.

Ed è il sordomutismo, la possibilità di vedere senza avere la capacità di sentire ed esprimere che non sopporta, ed è capace di pagare con la pazzia e il suicidio la possibilità di sentire ed esprimersi.

Nessuno gliela darà. Se la troverà da solo in quei tre bambini che non si vuole che nascano, riuscirà ad averla nel cogliere, al di là dell’annullamento onnipotente, qualcosa di più dell’esistenza materiale.

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K E Y W O R D S
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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a31-32)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

L’ennesimo, sempre ripetuto, fallimento della realizzazione femminile di dare vita agli esseri umani che si riduce, invece, a fabbricare macchine umane per la sopravvivenza della specie. Fallimento che gli artisti ci raccontano bene, con l’arte della rappresentazione e del linguaggio che non riesce a nascondere il gusto perverso della tragedia, di gettare in faccia a tutti la propria tragedia.

La tragedia di ritrovarsi diversi dagli altri, più intelligenti e sensibili, ma non fino al punto da essere immuni dal conflitto che, anzi, in loro, assume i termini delle note più alte di una sinfonia affascinante e tragica.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a28-30)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Perché lui dovrà prima realizzare che facendo l’amore con la madre gli è accaduto, illogicamente e irrazionalmente, di aver fatto lui un bambino.

Per capire questo dovrà giungere ad una purezza di artista, quella necessaria per dissacrare la più subdola e latente istituzione, quella che dice che gli artisti devono essere omosessuali. Devono pagare la loro creatività con la loro sessualità e la gioia di vivere. Devono pagare ad un dio il furto che fanno alla donna per avere un ventre creativo o l’imitazione che fanno di lei nel mettere al mondo quanto prima non c’era.

Devono annullare, prima di fare, il senso profondo della creatività umana, lo scopo primario della trasformazione degli uomini. E si trasformano in mostri distruggendo il proprio e l’altrui corpo in uno scimmiottamento del corpo femminile, in gesti e contatti fisici che riassumono il disfacimento della materia umana. Per, poi, “artisticamente” darci rappresentazioni e discorsi che lasciano noi mortali nell’ammirazione stupefatta di quanto non riusciamo a capire.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a26-27)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Perché lui dovrà prima realizzare che la madre è stata un uomo e il padre una donna cancerosa di rabbia e indifferente nella mente e che, sempre, ha dovuto camminare con questa donna-padre fatto di niente, quel niente che lui stesso ha determinato non accettando la morte-abbandono del padre la cui assenza ne ‹I pugni in tasca› colpisce e lascia perplessi. Il padre tanto più annullato quanto più amato nell’illusione ingenua che ogni fanciullo ha per chi è più grande di lui.

Quel padre la cui pochezza ha così genialmente rappresentato nel giudice, togliendoci di dosso la paralisi di una assenza che da quindici anni ci pesava addosso e ci impediva di cogliere la speranza in quanto ci aveva detto.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a23-25)

  •  F a g i o l i  (1 9 8 0)  •  U n a  s t o r i a  u n a  r i c e r c a  u n  f i l m  • 

Ma lasciamo che si rompa la testa. Perché questa volta sta imparando a sentire prima di capire, ad amare prima di adorare. Capirà poi. Quando avrà perduto l’ultimo residuo del positivismo che si porta dietro dal passato marxista-leninista, quando avrà realizzato che padre e madre sono soltanto condanne e destini comandati e stabiliti da una ragione astratta che impone la scissione tra materia e psiche.

Lasciamo che ora ripeta il ritornello che dice su quasi tutti i giornali, motivo di fondo di una canzone di cui rimugina le prime battute nella ricerca-speranza di un canto futuro spiegato. “Bisogna prima far l’amore con la madre, poi uccidere il padre”.

Lasciamo che la ricerca che si è svolta per quindici anni si approfondisca ancora perché ci possa spiegare il salto nel vuoto in cui cadiamo tutti noi spettatori nel momento in cui, dopo essere riusciti a saltare da Ale a Marta con l’aiuto di Sciabola, dobbiamo saltare da Giulia ad Anna. Alla donna, alla madre che non ci dia soltanto il movimento e il respiro, ma anche e soprattutto la sessualità e la fantasia.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a19-22)

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Nel momento in cui, in ogni modo, esistevano tre bambini che, se pur reinfetati, dati per non esistenti, con la loro esistenza materiale frustravano l’onnipotenza dell’istinto di morte.

Nel momento in cui, in ogni modo, la crescita numerica delle persone, che rappresentava un pene andato materialmente in erezione per violentare, trovò una recettività che ebbe il potere di trasformare il masochismo in creatività nella nascita di altri seminari.

Perché questa volta ha lavorato e imparato, non ha adorato la buona novella del profeta di Londra. Si è fatto prima il bambino ‹Salto nel vuoto›, poi uccide “il padre”. Anche se, avendo subito afferrato il ‹poi› di un certo caso clinico, a tutt’oggi si rompe la testa a cercar di capire “il padre” che poi è la madre.

Eppure è semplice: il fratello scemo, non ucciso, non reinfetato nell’acqua della vasca da bagno, non fatto sparire nella propria masturbazione dopo essere tornato nell’utero materno, diventerà un padre come il giudice. Come anche Marta, l’inconscio di Marco lo sa per essere passato nell’“arte” che consola gli esseri umani, condannata a dar le medicine calmanti al pazzo, diventerà come il giudice, come infatti lo è all’inizio del film. Meschina e grettamente invidiosa della donna con il bambino.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a15-18)

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1975; dieci anni. Giunge invecchiato con quel solo se pur robusto e sempreverde bastone de ‹I pugni in tasca›. Edipo a Colono? Forse. E il bosco sacro alle Eumenidi, vietato ma riposante, è difficile da vedere nel pur numeroso gruppo di persone che si riuniscono a fare psicoanalisi.

Gruppo informe, annullante, dissociato, è più una madre cieca e un fratello scemo che una sorella con cui stabilire un’alleanza. Lo ucciderà lui stesso, quattro anni dopo, gettandolo dal balcone nel quale si era arroccato in una paranoica istituzionalizzazione della propria impotenza e stupidità. Come il giudice.

Ma questa volta lo fa bene, senza la rabbia di Ale, e l’alleanza con la sorella-analista non lo fa morire nella colpa di aver fatto qualcosa di grande senza merito, e non rimane abbandonato come è sempre accaduto a coloro che hanno sfidato la divinità delle istituzioni. E si ritrova in altri gruppi, figliati dalla stessa madre cieca per una procreazione meccanica (bisogno di spazio!) senza creatività.

Ma questa origine materiale fa nascere, poi, la realtà psichica nel momento in cui, in ogni modo, una carica sessuale di rapporto immediato si è riusciti a non farla annullare.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a11-14)

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Ma ora è perduto in una identificazione vittimistica, manicheo che non coglie che il pasto che offre alle strutture, alle istituzioni, agli uomini violenti, è il cibo di cui essi si nutrono, polifemi superbi della loro forza sovrumana. In cui, poi, l’ultimo lamento della vittima è soltanto l’inchino riverente alla loro onnipotenza.

Travolto da una rivoluzione vecchia, quella della soddisfazione dei bisogni, nell’alleanza passiva con essa aveva perso il bambino. Come Nina. Il bambino che portava in sé quella castrazione che non realizza appieno la concretezza della realtà psichica e la confonde con la realtà materiale di una prassi che comprende la fantasticheria della eliminazione di persone fisiche: la rabbia.

Per cui, dopo, perde la sapienza che, invece, c’era, di un confronto dialettico che elimina il disumano degli uomini. Il grano che i padroni non vogliono venga scoperto.

Abbandonato dagli stessi compagni, come già aveva intuito dicendoci di Giulia, nella esaltazione della vittoria di essere riuscito ad essere creativo nonostante un mondo di cecità e stupidità, la colpa lo uccide come già aveva preconizzato nella morte di Ale.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a8-10)

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E quindi è marxista-leninista per l’amore per i due grandi, che lo porta ad una austerità di vita e di pensiero che gli impedisce di vedere e sentire il cilicio nascosto che gli rovina i sensi e il ventre. Ingannato dall’amore dei grandi per la realtà materiale che poi fa morire il bambino che nasce da questo amore che inganna anche loro, i materialisti ortodossi.

E finisce in ‹Matti da slegare› e in ‹Macchina cinema›, l’inchiesta sugli attori distrutti e impazziti per il cinema, macchina infernale che stritola gli ingenui incantati da un momento di successo. È con loro, compagni più odiati che amati, nello stesso destino di sconfitta, la giacca e il cappello di spaventapasseri, ridotti a monito per coloro che volessero ancora tentare di rubare il grano ai padroni.

Lo capirà poi, quando ci dirà, nel 1980, che la rivendicazione sindacale di Marta che va a Ostia, verrà prevenuta da una sollecitudine che vuole negare il controllo su tutto, che trapela soltanto nella raccomandazione di non confondere le ‹10.000› lire con le ‹50.000›. Non è quello il grano che non si deve toccare; è altro. Loro vogliono il dominio sulla mente, sulla sessualità delle donne e degli uomini.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a5-7)

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In primo luogo la madre cieca, poi il fratello scemo. Ma l’intuizione non capisce il riferimento alla storia, alle rivoluzioni fatte dagli uomini, non capisce quanto gli uomini ci tengano al potere culturale. E gli fanno la festa in un satanico gioco di parole che ci racconta, da sempre, di coscienza e inconscio, di manifesto e latente, di buona fede e di pulsioni.

Soltanto molti anni dopo troverà ‹Il gabbiano› e ci parlerà di Nina e di Trigorin. Dell’innamoramento della figlia per il padre, amore cieco che non sa vedere la realtà dietro una grandezza apparente, dell’innamoramento del padre per la figlia che nasconde la pulsione che uccide.

E dell’amore del figlio per la madre che, gelida nella sua avarizia, fa morire il figlio proprio quando viene toccato dal successo. Del latente degli amori dei piccoli per i grandi che nasconde il suicidio, del latente degli amori dei grandi per i piccoli che nasconde l’omicidio.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a3-4)

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Egli non sa che il chiasso che i coribanti fanno per proteggere il bambino dalla violenza degli altri, nasconde anche e soprattutto l’odio comune degli uomini contro tutto ciò che non è ripetizione. Ingenuamente fiducioso di altri che egli crede, come i bambini, amanti dei bambini, sposa lo scrittore come un credente che non si è posto mai il compito di corrugare la fronte nel cipiglio della scienza.

Egli non sa ancora di coscienza e inconscio, di manifesto e latente, di buona fede e di pulsioni. Sensibile agli eventi della storia, lascia affiorare, protagonista che anticipa quanto accadrà poi, l’intuizione geniale della rivolta alle istituzioni.

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Salto nel vuoto • Una storia una ricerca un film (a1-2)

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1980. Il punto di arrivo di una storia, di una ricerca, di una lotta continua contro la distruzione degli uomini, si pone come punto di partenza, come opposizione lucida a quanto gli uomini, pur sempre in fondo, forse, sapendo, non hanno mai voluto denunciare. Non hanno saputo farlo.

Quindici anni. Condotto dall’applauso corale a fregiarsi della palma del successo, giovane per reggere la sfida che aveva lanciato al potere, troppo poco astuto per saper evitare le trappole che lo stesso potere nasconde dovunque per uccidere colui che lo schiaffeggia, perde la perla trovata per caso a vent’anni.

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[]  M.  B e l l o c c h i o,  ‹S a l t o  n e l  v u o t o›,  U n i v.  e c o n.  F e l t r i n e l l i,  1 9 8 0.
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Attacco… • 4.15. … l’eternità a pagamento (4)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Ma se l’arte non è più creazione di immagine, non è l’espressione di una fantasia interna, ma parto di una razionalità scissa, celebrarne i riti può generare la sensazione di partecipare a un delirio condiviso. Tanto da indurci a pensare che in certi periodi della storia possano emergere modi di rappresentazione ed espressioni artistiche che evocano e richiamano forme di patologia, forse latenti nella società. Gli artisti spesso sono capaci di intuire, talora con anticipo, le tensioni più profonde, le contraddizioni e lo Zeitgeist della propria epoca. E allora azzardiamo: mentre la desertificazione degli affetti e l’orizzonte disumanizzante di cui parla ‹The Waste Land› di T.S. Eliot sembravano alludere ad aspetti specifici e patologici del moderno, la derealizzazione proposta da tante opere contemporanee, l’iper-riflessività fredda e alienata dell’arte concettuale di moda negli anni Duemila ci parlano dell’anaffettività e della perdita della fantasia come patologie del Postmoderno. Ma con una sostanziale differenza. Mentre il poema di Eliot, per restare all’esempio, denuncia questa realtà latente, tanta arte postmoderna ne fa l’apologia. Con quali effetti? Una produzione artistica mainstream che esalta il vuoto, l’anaffettività più totale, è espressione di una cultura potenzialmente patogena o quanto meno pato-plastica nell’offrire modelli e stili di un’estetica ‘malata’? Domande che chiedono un contributo alla moderna psichiatria.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.15. … l’eternità a pagamento (3)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Gli esempi che potremmo ancora fare sono molti ma sarebbe un’arida tassonomia, noiosa come i libri del marchese De Sade. Ci sembra di aver mostrato abbastanza come l’arte contemporanea cerchi l’effetto trauma, pratichi la masturbazione mentale, l’astrusità, non definendole tali. Per ricapitolare, a questo punto appare evidente che da quel 1917, quando nacque l’arte concettuale con l’orinatoio di Duchamp, l’approccio visivo ed emotivo a un’opera è diventato secondario. E la fruizione cerebrale ha prodotto deserti, sempre più autoriflessivi e autistici. Del resto l’onanismo è stato da tempo sdoganato, con le performance anni Settanta dell’americano Vito Acconci che si masturbava in pubblico. Se qualcuno lo facesse per strada qualcun altro chiamerebbe la neuro. Ma farlo in un museo è arte. Così come tagliarsi con rasoi come faceva Gina Pane inzuppando di sangue il completo bianco» [29]. Così come dormire, mangiare e liberarsi l’intestino a vista, stando in vetrina, come faceva Marina Abramovič. Oppure farsi riprendere durante continue operazioni di chirurgia estetica come ha fatto Orlan, mostrando il proprio volto alla fine completamente deformato e distrutto. «Nella Body art le azioni risultano piene di spunti nietzschiani, espressionisti, esistenzialisti, sicché varie ideologie coesistono in questo fenomeno», fa notare Lea Vergine, per molti anni critico del quotidiano “il manifesto”. Facendo convivere ideologie antinomiche e pratiche distruttive, come abbiamo visto. Il risultato sono performance, video, sequenze fotografiche in cui vanno in scena ribellioni fallite, che finiscono drammaticamente nella pazzia, celebrata da gran parte della Body art occidentale non come malattia mentale che può essere curata, ma come condizione immutabile, consustanziale all’essere umano.

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NOTE
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[29]. Cfr. S. Maggiorelli, ‹Dialogo sull’arte, intervista allo psichiatra Domenico Fargnoli›, in D. Fargnoli, ‹Arte senza memoria›, Carlo Cambi editore, Siena 2007, pp. 30-31 e C. Di Agostino, M. Fabi, M. Sneider, ‹Autolesionismo. Quando la pelle è colpevole›, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2016, p. 48.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.15. … l’eternità a pagamento (…2a)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

[⇐]   Un passaggio da segnalare è quello che fa sì che alcuni artisti ripropongano trovate goliardiche riproducendole alla lettera, senza nemmeno un’ombra di ironia. Così se Piero Manzoni vendeva ‹Merda d’artista› sbeffeggiando pose dannunziane, Paul McCarthy lo prende alla lettera e costruisce uno stronzo in travertino di quindici tonnellate e lo espone in piazza a Carrara come simbolo della lotta al capitalismo. La brutalità della reificazione procede in crescendo sul versante della coprofilia, dalla ‹Madonna con sterco› di Chris Ofili si passa alla già citata macchina per produrre escrementi che Delvoye nel 2003 espose al Centro Pecci di Prato. Sul versante della tanatofilia, invece, il ‹Cadavre exquis› di Breton ispira le fotografie di Andres Serrano che, fra molto altro, ci regala primi piani di cadaveri putrefatti, facendoli sembrare mostruosa pittura. Compie il percorso inverso invece Gerhard Richter usando virtuosisticamente il pennello per realizzare quadri che sembrano in tutto e per tutto fotografie. Con un realismo ipertrofico che diventa calco della realtà, senza scarto. Come le rosee e lucide sculture di McCarthy che raffigurano uomini obesi e in disfacimento, bambini di pochi mesi con il viso da vecchio. Analogamente Quinn ha scolpito una donna focomelica e incinta in pietra grigia, esposta all’esterno degli spazi espositivi di Pinault a Punta della Dogana. Colpiva soprattutto quel colore cadaverico, vedendola dal vaporetto che porta all’Arsenale durante una recente Biennale dell’arte contemporanea a Venezia.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.15. … l’eternità a pagamento (2…)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Dopo questo lungo viaggio torniamo al punto da cui siamo partiti, cercando di raccontare per chi già non le conosca, chi sono e cosa fanno le artistar dell’ultimo trentennio, come abbiamo visto, caratterizzato da multimedialità, ibridazioni, eclettismo senza limiti, giustapposizioni ossimoriche, ricerca dell’effetto choc, in modi derivati dal Dada e dal Surrealismo. Ma anche mutuati dalla Pop art, per quanto riguarda l’estetizzazione della merce e il riuso di meccanismi di comunicazione pubblicitaria. «La confusione ideologica del Postmodernismo», dice un decano dell’architettura come Vittorio Gregotti, «mescola le pulsioni del Sessantotto con l’età di Reagan». È in questo clima che si forma un artista miliardario come Jeff Koons, che ha popolato i musei internazionali di luccicanti gadget. È stato uno dei primi a fiutare la bramosia di facoltosi collezionisti di impadronirsi di oggetti d’arte e si è fatto interprete dello strapotere della massificazione super kitsch. Inizialmente sulla scia di Duchamp, addobba a pezzo d’arte un aspirapolvere, poi comincia a sfornare cuori giganti e luccicanti, animali che assomigliano a quelli di gomma fatti con i palloncini gonfiabili, bambole, orsacchiotti. Non contento, con la stessa logica investe sulla propria vita privata, coinvolgendo la moglie, la pornodiva Cicciolina, in amplessi fotografati. Nel frattempo crescono i nipotini di Duchamp, il belga Delvoye espone una porta da calcio. Ha fatto goal, certamente, per giunta senza far niente.   [⇒]

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.15. … l’eternità a pagamento (1)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Se ‹Rumore bianco› raccontava gli orizzonti americani degli anni Ottanta, ‹Zero K› (2016) guarda al futuro immaginando due coniugi che decidono di farsi ibernare dietro il pagamento di una cifra enorme. Mettendo in scena la storia del miliardario Ross Lockhart e della sua seconda moglie Artis Martineau che decidono, partendo da condizioni diverse (malata terminale lei, perfettamente sano lui), di entrare in sospensione criogenica grazie all’assistenza di una struttura tecnologica e biomedica di ultra-avanguardia. Sembra una feroce metafora di quel che è accaduto negli anni Zero nel sistema dell’arte internazionale presa d’assalto da oligarchi russi e piazzisti americani arrivati alla presidenza statunitense. L’Art world è scolpito a propria immagine e somiglianza dalla ‹longa manus› di lobby cultural-economiche. «L’inflazione del mercato dell’arte è un delirio che non ha niente a che vedere con l’espressione artistica, ma piuttosto con le multinazionali», dice Paul Virilio. Ma è una mosca bianca.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.14. Alterata percezione del tempo e dello spazio… (2)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

L’architettura fa propria la tecnica del bricolage nella Gehry House, la casa che l’architetto Frank O. Gehry ristrutturò e reinventò nel 1978, a Santa Monica in California. Una abitazione in cui oggetti di famiglia ed elementi architettonici della tradizione vengono riusati, senza che portino con sé una memoria né un senso, solo come pezzetti di ricordo, come souvenir. Quando gli edifici postmoderni appaiono così astrusi invecchiano rapidamente, senza diventare mai antichi. È accaduto in questo caso [sic!] anche a un’opera dell’archistar come [sic!] Gehry. Che a Bilbao, invece, è riuscito nell’ambiziosa impresa di costruire il museo Guggenheim come una gigantesca scultura context specific, che cambia a seconda della luce. Se guardiamo la casa danzante di Praga, in origine chiamata ‹Fred and Ginger›, oggi la sua estrema torsione dà solo l’impressione di un marchiano kitsch. Un senso di nausea e di perdita di orientamento e impossibilità di crearsi una mappa mentale del luogo è invece la sensazione che l’architetto John Portman sembra aver voluto indurre negli ospiti del suo Westin Bonaventure Hotel, realizzato tra il 1974 e il 1976 a Los Angeles. Questo sbriciolarsi della storia personale e collettiva, mentre in primo piano giganteggia un immane cumulo di merci e il ronzio degli elettrodomestici, è stato rappresentato in maniera drammatica da Don DeLillo in ‹Rumore bianco› (1985) e in tanta letteratura americana anni Novanta, fatta di narrazioni fluviali e discorsi spezzati dalle intromissioni della tv, da voci sovrastate dal rumore di fondo di una società alienata e postmoderna.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.14. Alterata percezione del tempo e dello spazio… (1)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

L’emergere della videoarte grazie alle nuove tecnologie ha aperto nuovi scenari, dando maggiori strumenti per esprimersi a chi ha talento, mentre la possibilità di girare video anche con telefoni cellulari ne ha ampliato enormemente la diffusione. Ma anche in questo ambito ha prevalso il Postmoderno. Qui più che altrove. Pionieri sono stati artisti come Nam June Paik e Bruce Nauman. Fin dai loro primi lavori negli anni Settanta si esercitano sui paradossi percettivi e assorbono lo spettatore in un orizzonte ipnotico, antinarrativo, frammentato, con epifanie di oggetti che acquistano una evidenza allucinatoria, grazie alla telecamera che si fissa su particolari. Si cerca la spersonalizzazione meccanica dell’osservatore; una sorta di decentramento del soggetto. Lo spettatore sembra dissolversi e l’autore insieme a lui. Attraverso l’amplificazione di dettagli, con movimenti rallentati della camera, mandando in loop alcuni frammenti, si crea l’impressione che il tempo si sia enormemente dilatato, si determina un effetto distorsivo che disorienta rispetto alla durata effettiva dell’opera di videoarte che, di solito, è nell’ordine dei minuti. Non c’è più la linearità positivistica del tempo, non c’è più una direzione, due aspetti che invece connotavano fortemente il moderno. Il senso di spaesamento sembra derealizzazione, una condizione di smarrimento del soggetto rispetto al proprio vissuto e alla propria storia. Anche la vita collettiva è caratterizzata da una perdita di senso della storia che nell’orizzonte postmoderno diventa serbatoio di stili intercambiabili, pronti all’uso, da rimescolare a piacimento secondo la logica del pastiche. Basta pensare a certe architetture anni Ottanta e Novanta caratterizzate da elementi dissonanti, assemblaggi di colonne doriche, verticalità gotiche, elementi ridondanti e neobarocchi.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.13. Postmoderno senza inconscio (6-7)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Il freddo minimalismo degli anni Ottanta è diventato manierismo, ‹trompe-l’oeil›, costruzione di realtà fittizie, doppioni, mondi artificiali, confezionati in formato gigante da archistar.

Contro l’estetica della ‹Bigness›, contro l’architettura ridotta a marketing, che sovrasta il contesto, che prolifera come deriva delirante della postmetropoli, si è espresso in maniera sferzante ed efficace un architetto di scuola tenacemente modernista come Vittorio Gregotti (‹Contro la fine dell’architettura›, 2008, ‹Architettura e postmetropoli›, 2011 ecc.), denunciando in particolare la deterritorializzazione e la fine dell’urbanistica in città dalle mappe sempre più caotiche e illeggibili, in cui ‘non luoghi’ come centri commerciali e outlet sono i maggiori punti di attrazione.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.13. Postmoderno senza inconscio (5)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Con questo non intendiamo dire che non esista ricerca sulle immagini, ‹tout court›. Da Anish Kapoor a Shirin Neshat si potrebbero fare decine di nomi di artisti che negli ultimi trent’anni hanno intrapreso percorsi fertili e originali, riuscendo ad affermarsi. Ma restano casi individuali. Qui ci siamo dati il compito di analizzare l’estetica dominante. Il filone che è diventato egemone per molti versi è quello più sottilmente inquietante: già a partire dagli anni Sessanta e Settanta si connota come iper-razionale e autoreferenziale, celebrando un figurativo sterile e desolante come i paesaggi urbani di Robert Venturi, foto che riproducono pubblicità come quelle di Richard Prince, che ricalcano quelle di una nota marca di sigarette in cui campeggia uno stereotipato cowboy a cavallo. Una trovata con cui Prince ha sbancato, avendo avuto l’astuzia di depositare il copyright della sua fotocopia. Nel saggio ‹La clonazione di fotografie, stadio supremo dell’arte contemporanea› (2009) Marc Fumaroli ha scritto che oggi più che con artisti abbiamo a che fare con «plastificatori», artefici di «un’arte parassitaria, che usa il plagio come strategia prioritaria». Ci troviamo di fronte a un tipo di arte che funziona come un sistema di citazioni che disconoscono la fonte e che poi vengono ricombinate in modo da creare nello spettatore l’impressione di un ‘nuovo’ che invece non c’è. «A questo stadio di cinismo», scrive Fumaroli, «la riproducibilità meccanica delle opere d’arte di cui si lamentava Benjamin negli anni Trenta raggiunge proporzioni alla Borges».

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco… • 4.13. Postmoderno senza inconscio (4)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

Il processo attraverso cui si è giunti a questo inaridimento è complesso e come abbiamo accennato coinvolge aspetti legati alle strategie globalizzanti del mercato dell’arte, al prevalere dell’‹homo oeconomicus›, basato su una razionalità strumentale, tutta volta all’acquisizione e al consumo. Un percorso che parte da lontano se, come è stato rilevato da storici ed economisti, alla grande depressione del 1929, negli Usa (vero epicentro del Postmoderno), non seguì una elaborazione, ma una sorta di annullamento euforico. Quasi d’un tratto l’America si era trovata precipitata nell’era reaganiana, dei templi commerciali, del capitalismo selvaggio. Mentre i fast food diventano la metafora di un’intera epoca. In questo tripudio di vanità dell’era reaganiana e thatcheriana si scambia l’architettura per design e viceversa, producendo caffettiere come palazzi e palazzi come posaceneri, le opere d’arte diventano giganteschi gadget ed elitarie ‹vanitas›, come il teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst. Degradando il pubblico a guardone invidioso e a consumatore, generando un lungo tunnel creativo da cui il mainstream proposto dal mercato internazionale dell’arte non è ancora uscito.

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