Attacco… • 4.1. Le sette sorelle… (2)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  4.  … d e l l’ a r t e  c o n t e m p o r a n e a  •

La finanziarizzazione dell’arte [7], nell’era della globalizzazione, ha imposto su scala internazionale una sorta di pensiero unico: un’estetica prevalentemente anglo-americana, che lascia poco o nessuno spazio alla ricerca sulle immagini con un senso e un contenuto profondo, che non siano fantasticheria, vuota figurazione o arido concettualismo. Il discorso sull’arte prevale sulle immagini, l’arte è diventata meta-arte, sur-arte. Al punto che la maggior parte di ciò che viene esposto risulta incomprensibile senza un debito apparato di spiegazioni. Come siamo arrivati a questa supremazia del linguaggio razionale su quello muto e irrazionale delle immagini? Perché a poco più di un secolo di distanza dalle avanguardie storiche, che avevano mandato in soffitta un’idea di pittura come ‹mimesis› della realtà, siamo circondati da opere che della realtà propongono il calco più triviale? Al Museion di Bolzano, nell’ottobre 2015, dopo una festa, gli addetti alle pulizie hanno gettato via per sbaglio un’opera di Goldschmied & Chiari intitolata ‹Dove andiamo a ballare stasera?›: pensavano che fossero i resti del banchetto. Scherzi da buontemponi, si dirà, come quella volta che alla Biennale di Venezia un visitatore si è divertito a mettere in posa un sacchetto pieno di spazzatura per godersi lo spettacolo di acritici spettatori che si fermavano a osservarlo con aria seria e contemplativa. Iper-realismo incellophanato, vacuo estetismo, provocazione fine a stessa compongono la trama invisibile che percorre tante Biennali anni Novanta e Duemila, da Venezia a Istanbul, passando per una fiera di tendenza come Frieze London, per la mostra mercato di Basilea e la prestigiosa dOCUMENTA di Kassel. Non credendo a Hegel e alla sua profezia sulla morte dell’arte [8], torna la domanda: cosa è accaduto? Come si è arrivati fin qui?

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NOTE
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[7]. P.L. Panza, ‹Se esplode la bolla dell’arte. La finanza ha preso il posto dell’estetica›, in “Corriere della Sera”, 29 dicembre 2011: «Prima di diventare come un hedge fund, l’opera d’arte ha avuto diverse finalità: devozionale nel Medioevo, estetica e testimoniale nel Rinascimento ecc. […] Oggi, dopo aver attraversato la stagione della sua riproducibilità tecnica (dal titolo dell’opera di Walter Benjamin del 1936), l’arte sta implodendo nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria».

[8]. Nelle ‹Lezioni di estetica› F. Hegel scriveva che l’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si dà esistenza. «L’arte ai suoi inizi lascia ancora sussistere un che di misterioso, un presentimento pieno di mistero, uno struggimento, perché le sue produzioni non hanno ancora completamente tratto per l’intuizione immaginativa tutto il loro contenuto. Ma se il contenuto compiuto è compiutamente venuto a rilievo in forme artistiche, lo spirito lungimirante ritorna da questa oggettività, allontanandola da sé, nel suo interno. Quest’epoca è la nostra. Si può, sì, sperare che l’arte s’innalzi e si perfezioni sempre di più, ma la sua forma ha cessato di essere il bisogno supremo dello spirito». Cfr. F. Hegel, ‹Arte e morte dell’arte›, a cura di P. Gambazzi e G. Scaramuzza, Bruno Mondadori, Milano 1997, pp. 44-70.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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