A questo testo è possibile accostarne molti altri in cui emerge un’analoga tendenza all’esclusione e alla «distruzione» dell’altra religione, non tanto con l’arma dell’invettiva quanto con quella della satira. La satira biblica della religione si fonda sull’antico genere orientale della satira dei mestieri, che consiste nel presentare alcune attività lavorative come un inutile e assurdo affaccendarsi, che non solo non giova, ma affatica, insudicia e deturpa chi le svolge, fino a escluderlo dalla comunità e dal suo sistema di valori, imperniato su attività sociali sensate. Le attività o i comportamenti così descritti sono resi estranei e ridicoli perché vengono volutamente taciute proprio quelle premesse che li renderebbero sensati. La satira dei mestieri scotomizza la cornice interpretativa della divisione sociale del lavoro, la satira delle religioni lo fa con le interpretazioni della religione figurativa, non tenendo conto per esempio del fatto che un pezzo di legno non potrà mai essere proposto ‹eo ipso› come immagine divina prima di essere stato sottoposto a un’adeguata cerimonia di consacrazione che lo metta in collegamento con il mondo degli dèi, e lo prepari ad accogliere temporaneamente un’anima divina. La riduzione dell’immagine di culto, che «funziona» come tale soltanto se collegata a una semiotica altamente complessa, alla sua mera materialità, è un procedimento di estraniamento che serve a far apparire assurde tutte le attività a essa connesse. [⇒]
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[] J. A s s m a n n, ‹N o n a v r a i a l t r o d i o› (2 0 0 6), i l M u l i n o, 2 0 0 7.
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