▭ • D e C a r o (2 0 0 4) • 4. L i b e r t à e r e s p o n s a b i l i t à •
L’ipotesi di Berlin non è affatto assurda, come può dimostrare un esperimento mentale. Se un giorno scoprissi che il mio vicino di casa è un sofisticato robot, controllato deterministicamente da uno scienziato, certo cambierei il mio atteggiamento verso di lui [41]. In un simile caso, non sarebbe affatto ‘naturale’ per me continuare a considerarlo responsabile delle sue azioni: ad esempio, se il mio vicino di casa-robot una notte mi svegliasse suonando il tamburo non proverei risentimento verso di lui, ma verso lo scienziato che lo ha programmato a fare una cosa del genere. D’altra parte sarei ancora più sconcertato se scoprissi che ‹tutti› gli abitanti del mio palazzo (o tutti i miei concittadini) sono controllati deterministicamente. E cosa faremmo, allora, se avessimo ragione di pensare che ‹noi tutti› siamo meccanismi deterministici? [42]
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N O T E
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[41]. Questa ipotesi non è affatto inconcepibile (sebbene sia al momento del tutto improbabile). Possiamo immaginare che lo scienziato potrebbe convocarmi un giorno nel suo laboratorio e mostrarmi come determina le azioni del mio vicino di casa. Possiamo anche immaginare che l’evidenza empirica apportata dallo scienziato sia tanto imponente che sarebbe per me irrazionale rifiutarmi di credere che il vicino è interamente determinato (lo scienziato, ad esempio, potrebbe prevedere completamente, in mia presenza, le azioni del mio vicino per un lungo periodo, magari inducendolo a compiere azioni bizzarre).
[42]. Sviluppando l’argomento della nota precedente, non mi sembra inconcepibile nemmeno la situazione in cui uno scienziato determini i comportamenti di ‹tutti› gli esseri umani e possa dimostrarlo induttivamente (ad esempio, mostrando come determina le azioni di un numero sufficientemente alto di individui presi a caso). In un tale scenario, la nostra fiducia nelle attribuzioni di responsabilità sarebbe profondamente scossa, con buona pace di Strawson. Molto meno chiaro, invece, è ciò che accadrebbe se si avesse ragione di pensare che la determinazione riguardi ‹se stessi›. Thomas Nagel (1997, p. 117) ritiene una tale situazione sia letteralmente inconcepibile: «Il dubbio rispetto alla propria razionalità è instabile e non ci lascia nulla su cui pensare». Così, se teoricamente non posso escludere la possibilità che io effettivamente non controlli le mie azioni, di fatto «non posso attribuirla a me stesso più di quanto possa immaginare che ora non sto pensando». Le perplessità di Nagel su questo punto non mi sembrano illegittime; esse però non alterano sostanzialmente i termini della questione.
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K E Y W O R D S
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I l l i b e r o a r b i t r i o …›, L a t e r z a, 2 0 0 4.
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