Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (a2-3)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Nei capitoli precedenti, d’altra parte, era emerso che, dato lo stato attuale della discussione, lo scetticismo rispetto alla libertà è ‹giustificato›. In questo modo però, lo scetticismo si propaga immediatamente alla responsabilità: se non abbiamo ragione di pensarci liberi, non abbiamo nemmeno ragione di pensarci responsabili. La situazione teorica sembra allora senza speranza.

O forse una speranza c’è. Se si riuscisse a mostrare che l’attuale ‹impasse› del dibattito sul libero arbitrio dipende da qualche ingiustificata assunzione, forse si aprirebbero nuove prospettive teoriche. Ciò è quanto argomenterò nel prossimo capitolo.

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (a1)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

In questo capitolo abbiamo discusso i rapporti tra il concetto di libertà e quello di responsabilità. In particolare, sono stati analizzati due ingegnosi tentativi, sviluppati rispettivamente da Peter Frederick Strawson e Harry Frankfurt, tesi a provare che le attribuzioni di responsabilità non presuppongono la possibilità di fare altrimenti, e dunque non presuppongono la libertà (come essa è stata concepita in questo libro). La conclusione della nostra analisi, tuttavia, è stata che questi tentativi falliscono nel loro intento e che, dunque, è ragionevole continuare a pensare che la libertà ‹sia› prerequisito della responsabilità.

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (10-11)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Fallisce, così, anche il tentativo di Frankfurt di sganciare il concetto di responsabilità da quello, altamente problematico, di libertà (o, più specificamente, dalla possibilità di fare altrimenti, che della libertà è condizione essenziale). In realtà, per quanto ne sappiamo, la nostra responsabilità ‹presuppone› l’esistenza della libertà; e dunque per salvare l’idea di responsabilità è necessario risolvere l’enigma della libertà.

Si ripropone, allora, la domanda iniziale: la libertà è possibile? Ovvero — per porre la questione in maniera leggermente diversa — com’è possibile che gli agenti godano di entrambi i requisiti essenziali della libertà, se il primo (l’autocontrollo) sembra impossibile in un universo indeterministico e il secondo (la possibilità di fare altrimenti) sembra impossibile in un universo deterministico?

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (9)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Consideriamo allora l’altro caso, che è quello teorizzato dai libertari. Assumiamo, cioè, che la catena causale che ha condotto Rossi a compiere ‹spontaneamente› l’azione di cui porterà la responsabilità (che è proprio l’azione desiderata dallo scienziato, il quale per questo non interviene) sia una catena causale indeterministica. Se è così, allora, per definizione, quando causa l’azione l’agente ‹non è› determinato; ovvero, in un qualche momento del processo causale che conduce al compimento dell’azione (al livello della maturazione delle decisioni o a quello dell’esecuzione delle azioni), egli ‹potrebbe fare altrimenti›. In sostanza, in questo scenario la responsabilità è basata proprio sulla possibilità di fare altrimenti: esattamente il contrario di quello che Frankfurt vuole dimostrare. Nella situazione che Frankfurt descrive, infatti, Rossi non può ‹mai› fare altrimenti, in quanto lo scienziato è pronto ad interferire per riportare il corso degli eventi nella direzione da lui preferita. Dunque, dei due casi, quello indeterministico non è rilevante, e quello deterministico incorre in una ‹petitio principii›!

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (7-8)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Concediamo in primo luogo che il processo causale che porta Rossi al compimento dell’azione sia deterministico e che ciò nonostante egli ne sia responsabile (concediamo cioè che abbia ragione Frankfurt nel sostenere che il determinismo è compatibile con la responsabilità). In questo scenario deterministico Rossi, dunque, è ‹per definizione› responsabile pur non potendo fare altrimenti. Ma in questo caso l’ipotesi di Frankfurt non aggiunge proprio nulla a favore della compatibilità del determinismo con la responsabilità, che è invece ‹presupposta›.

Detto altrimenti: se la responsabilità è compatibile con il determinismo, per definizione Rossi ‹non può› fare altrimenti e ciononostante è responsabile. In quest’ottica, però, l’ipotesi del controllore controfattuale è ridondante: l’esperimento mentale di Frankfurt invece di provare la propria tesi, insomma, la presuppone.

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (6)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Sopra abbiamo visto che in realtà non è affatto chiaro se un’azione responsabile debba presupporre processi deterministici o processi indeterministici. Anzi è equo dire che noi ‹non› sappiamo se siamo veramente responsabili e, qualora lo fossimo, in quale tipo di scenario ci troviamo: se uno di causazione deterministica o uno di causazione indeterministica. Dato che, comunque, tra questi due tipi di causazione ‹tertium non datur› e, se siamo responsabili, dobbiamo esserlo in uno di questi due scenari (o, meno plausibilmente, in tutti e due), possiamo provare a riflettere su quali conseguenze deriverebbero, rispettivamente, per l’esperimento mentale di Frankfurt nei due casi.

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (4-5)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Consideriamo allora il caso in cui Rossi è responsabile quando ruba il portafogli. Naturalmente la presenza dello scienziato che vigila passivamente su di lui non ha alcun effetto sulla situazione. In questo scenario, dunque, la responsabilità di Rossi viene ‹presupposta›, non dimostrata. La sua responsabilità, in sostanza, deve essere ‹già› data affinché si possa dire, come fa Frankfurt, che il controllore controfattuale non la lede.

Ciò che l’esperimento di Frankfurt prova è dunque questo: se Rossi è responsabile per la sua azione, ‹allora› egli rimane tale anche quando su di lui incombe un controllore controfattuale; o, detto altrimenti, se Rossi è responsabile di quella sua specifica azione, egli rimane responsabile anche quando gli manca la possibilità di fare altrimenti. Il punto cruciale, allora, è comprendere in quali condizioni Rossi possa essere ‹preliminarmente› responsabile, a prescindere dal potenziale intervento dello scienziato.

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (3)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

In verità, in primo luogo, non è chiaro se Rossi sia effettivamente responsabile. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere affetto da una particolare patologia mentale (ad esempio, la cleptomania) che ne determina i comportamenti in modo tale che egli, pur agendo senza interferenze esterne, non è responsabile delle proprie azioni. Oppure potrebbe essere sotto ipnosi o preda di allucinogeni oppure (visto che si tratta di un esperimento mentale) potrebbe perfino essere controllato a distanza da ‹un altro› scienziato. In questi casi, che non sono esclusi nello scenario di Frankfurt, ma che certo non servono a provare la sua tesi, Rossi non sarebbe responsabile quando ruba il portafoglio (e il fatto che egli sia controllato da uno scienziato che comunque non interviene sarebbe in questo senso del tutto ininfluente).

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (2)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Torniamo al caso del signor Rossi, che — mentre ruba un portafoglio — è controllato da un malefico scienziato in grado di modificarne le azioni. Il caso interessante, abbiamo visto, è quello in cui lo scienziato non ha bisogno di intervenire, perché Rossi fa di sua iniziativa proprio ciò che lo scienziato desidera. Se Rossi agisse senza interferenze, come potrebbe non essere responsabile della propria azione? E, in effetti, su un punto almeno Frankfurt ha ragione: la mera possibilità di un’interferenza, che di fatto non avviene, non può avere alcuna rilevanza nello stabilire se l’agente è responsabile o meno. Il punto cruciale, però, è: in base a cosa affermiamo che, nello scenario di Frankfurt, il nostro agente è responsabile?

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Libero arbitrio… • 4.7. Un nesso inscindibile (1)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Se Frankfurt fosse nel giusto, la nozione di responsabilità morale, in quanto concettualmente indipendente dalla nozione di libertà, sarebbe al riparo dai problemi e dalle aporie che gravano su quest’ultima. L’unica condizione per il darsi della responsabilità sarebbe, infatti, l’autodeterminazione da parte degli agenti: una condizione che sembra perfettamente compatibile con un ambiente deterministico. In tale prospettiva il dibattito sulla libertà, privato di ogni interessante ricaduta etica, perderebbe innegabilmente buona parte del suo ‹appeal› teoretico; in fondo, come ho detto in precedenza, la libertà ci preme soprattutto (sebbene non esclusivamente) in quanto sembra essere una condizione necessaria dell’attribuzione di responsabilità morale. Ma Frankfurt è nel giusto? Io credo di no. Detto in una parola, mi pare che il suo argomento — per quanto brillante e apparentemente lineare — sia in realtà viziato da una ‹petitio principii›.

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (12)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Riassumendo: secondo Frankfurt, se anche le nostre azioni fossero totalmente determinate dagli eventi passati e dalle leggi di natura in modo tale che non potremmo ‹mai› agire altrimenti da come di fatto agiamo, avremmo nondimeno ragione a considerarci responsabili per le scelte e le azioni in cui la nostra volontà funge da ragion sufficiente. Se questa tesi fosse giusta, avremmo trovato (nella misura in cui il mondo è deterministico o, più limitatamente e più plausibilmente, nella misura in cui è deterministico l’ambito dell’agire umano) un modo di salvare la responsabilità morale — e ciò anche se dovessimo perdere il libero arbitrio.

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (11)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Se ciò è corretto, Chisholm e quanti concordano con lui errano nel ritenere che il requisito delle possibilità alternative — proprio della libertà, come è stata qui definita — sia ‹condizione necessaria› della responsabilità morale. Secondo il punto di vista di Frankfurt, infatti, i controesempi eponimi [sic!] provano che possono darsi casi in cui la responsabilità morale non è esclusa, anche se l’agente è impossibilitato a fare altrimenti. Ciò lascia dunque aperta la possibilità che in un mondo in cui gli agenti non siano mai in grado di fare altrimenti — ovvero in un mondo deterministico — si dia responsabilità morale [54]. Seppure, allora, il determinismo fosse incompatibile con la libertà (o più esattamente con il requisito delle possibilità alternative, che ne sta a fondamento), da ciò non seguirebbe affatto l’incompatibilità del determinismo con la responsabilità morale [55].

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N O T E
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[54]. Frankfurt sostiene anzi ‹esplicitamente› che i suoi controesempi mostrano come la responsabilità morale sia compatibile con il determinismo; su ciò, cfr. anche l’introduzione a Fischer, Ravizza (a cura di) (1993). Si noti che Frankfurt (1969) non s’interessa ai tentativi di mostrare che in un mondo deterministico la possibilità di fare altrimenti non è esclusa (su questi tentativi, cfr. 𝑠𝑢𝘱𝑟𝑎, capitolo secondo). Se ne può dedurre che, a parere di Frankfurt, il determinismo impedisce la possibilità di fare altrimenti ma, ciononostante, è compatibile con la responsabilità.

[55]. Alcuni autori seguono Frankfurt nell’affermare che il determinismo causale è compatibile con la responsabilità morale; se ne distaccano però quando affermano l’incompatibilità del determinismo causale con il requisito delle possibilità alternative proprio della libertà: cfr., ad esempio, Fischer (1994).

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (10)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Nell’esempio discusso sopra, invece, la volontà dell’agente è ragion ‹sufficiente› della sua (cattiva) azione — e ciò anche se ‹comunque› non avrebbe potuto fare altrimenti. Secondo Frankfurt, ciò che conta per la corretta attribuzione di responsabilità è che il reale corso d’azione sia tale che l’azione di Rossi non avvenga ‹solo perché› il neurofisiologo è intervenuto. Questo, invece, è esattamente ciò che accade nel caso di una persona ipnotizzata, quando la ragione per cui una certa azione è compiuta è proprio, e soltanto, l’intervento di un fattore determinante — diverso dalla volontà dell’agente — che funge dunque da unica ‹causa sufficiente› per il compimento di quell’azione. Questo spiega, secondo Frankfurt, la ragione per cui in casi del genere l’agente non viene ritenuto responsabile dell’azione: egli, infatti, «ha agito come ha agito ‹soltanto perché› era impossibilitato a fare altrimenti o ‹soltanto perché› doveva agire così» e non perché «egli voleva compiere ‹veramente› quell’azione». In sostanza, dunque, «una persona non è moralmente responsabile per ciò che ha fatto, se l’ha fatto ‹soltanto perché› non avrebbe potuto fare altrimenti» [53]. In tal modo, l’unico aspetto rilevante per una corretta attribuzione di responsabilità è se la volontà dell’agente sia parte integrante della ragione sufficiente dell’azione o no (e in tal caso è del tutto ininfluente se, per soprammercato, l’agente non avrebbe potuto fare altrimenti).

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N O T E
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[53]. Frankfurt (1969, p. 131); gli ultimi due corsivi sono miei.

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (9)

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Naturalmente Frankfurt non nega che vi siano molte situazioni in cui un agente che non può agire altrimenti da come di fatto agisce ‹non è› moralmente responsabile dei propri atti (si pensi ai casi, ricordati sopra, in cui un agente è scusato perché agisce sotto coercizione o perché è afflitto da una particolare infermità); egli, tuttavia, non crede che in questi casi la responsabilità morale venga negata ‹in quanto› l’agente ‘non potrebbe fare altrimenti’. Il punto, a giudizio di Frankfurt, è piuttosto che i fattori coercitivi che inducono l’agente ad agire in quel certo modo sono le ‹uniche› cause di quell’azione: ad esempio non accade che un agente che compie una certa azione perché è ipnotizzato la compia ‹anche› perché aveva un autonomo desiderio in tal senso (se così fosse, l’agente sarebbe responsabile della propria azione).

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (8)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Occorre sottolineare che, nella sua discussione, Frankfurt non è affatto interessato a discutere della possibilità di fare altrimenti ‹in sé› e tantomeno della libertà in generale. Discutendo di questo tema, anzi, egli lascia impregiudicata la questione della compatibilità della libertà con il determinismo e/o con l’indeterminismo, nonché la più specifica questione della libertà degli esseri umani [52]. Ciò che gli preme non è stabilire se gli esseri umani siano ‹liberi›, ma in quale senso essi siano ‹responsabili›; e la sua tesi è che la possibilità di fare altrimenti (che, abbiamo visto, è requisito indispensabile della libertà) è del tutto ‹irrilevante› per la corretta attribuzione di responsabilità morale. I ‘controesempi ‹à la› Frankfurt’ intendono proprio mostrare che la questione della responsabilità morale può essere discussa ‹indipendentemente› dalla questione della libertà (come è stata definita qui). Che il concetto di libertà sia compatibile con il determinismo, o con l’indeterminismo, o che sia logicamente incoerente, secondo Frankfurt l’essenza della responsabilità rimane esattamente la stessa: un agente, infatti, può essere ritenuto responsabile di una scelta o di un’azione anche nel caso in cui egli non possa fare altrimenti, ‹purché tale scelta o azione dipenda da una sua autonoma decisione›. Così, quando Rossi si appropria del portafoglio incustodito, egli — pur non essendo libero di agire altrimenti — è pienamente responsabile per la propria condotta.

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[52]. La tesi della compatibilità di libertà e determinismo è invece difesa esplicitamente in Frankfurt (1971), su cui si vedano le acute osservazioni critiche di Watson (1975).

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (7)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Il punto importante dell’esperimento mentale proposto da Frankfurt è che sebbene Rossi sia responsabile della propria scelta e della propria azione, non era in suo potere scegliere o agire altrimenti. Se infatti una resipiscenza morale lo avesse indotto ad astenersi dal furto, immediatamente il perfido scienziato sarebbe intervenuto per modificare tale intenzione. Da una parte, dunque, Rossi ha scelto e agito autonomamente, e dunque è responsabile della propria condotta; dall’altra, egli non avrebbe potuto compiere scelte o azioni diverse da quelle che ha effettivamente compiuto. Egli, pur essendo responsabile, ‹non avrebbe potuto fare altrimenti›: dunque il principio delle possibilità alternative è, secondo Frankfurt, confutato.

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (6)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Per comprendere questa tesi possiamo costruire un controesempio ‹à la› Frankfurt. Immaginiamo che un geniale e protervo neurofisiologo abbia costruito una macchina in grado di controllare a distanza la volontà e le azioni di Rossi. Non che lo scienziato manipoli ‹continuamente› Rossi; egli, piuttosto, si limita ad intervenire nei casi in cui Rossi opera una scelta che lo scienziato non gradisce, inducendolo immediatamente a modificarla. Nel caso del portafoglio incustodito, ad esempio, il diabolico scienziato vuole che Rossi compia il furto; egli dunque è pronto ad intervenire nel caso in cui Rossi decida invece di astenersi dal misfatto. Dato però che Rossi decide ‹autonomamente› di rubare il portafoglio, lo scienziato non ha bisogno di intervenire e di fatto non interviene (in questo caso egli è una sorta di ‘controllore controfattuale’). La biasimevole scelta è tutta di Rossi, che ne porta intera la responsabilità: giustamente, dunque, egli può essere criticato per questa sua condotta [51].

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[51]. Sebbene in questa forma il controesempio ‹à la› Frankfurt sia particolarmente icastico, va notato che se ne potrebbero offrire versioni in cui non figura un agente — nel nostro caso il neurofisiologo — che ne controlla un altro (una situazione che potrebbe indurre a ritenere, in modo fuorviante, che Frankfurt non faccia che spostare il problema della responsabilità dall’agente al neurofisiologo, il quale è pur sempre un agente). Lo stesso Frankfurt (1969, p. 132, n. 4) suggerisce che il ruolo del ‘controllore controfattuale’ potrebbe essere svolto da un computer o da forze naturali che non obbediscono ad alcun disegno razionale (quali potrebbero essere quelle che agiscono in un mondo deterministico). Su ciò, cfr. Blumefeld (1971).

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (5)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Immaginiamo, dunque, che il signor Rossi sia sul punto di prendere una decisione di una qualche rilevanza morale. Egli, ad esempio, deve decidere se rubare un portafoglio lasciato momentaneamente incustodito. Dopo un breve processo deliberativo, Rossi, che non ha una tempra morale particolarmente robusta, decide di appropriarsi del portafoglio. Una tale decisione appare certamente biasimevole, e su ciò Frankfurt concorda pienamente. A suo giudizio, però, una corretta attribuzione di responsabilità morale agli agenti non dipende affatto — come pure parrebbe naturale pensare — da un’implicita attribuzione a Rossi della possibilità di fare altrimenti.

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (4)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Secondo questo principio, la possibilità di fare altrimenti (oltre ad essere requisito fondamentale della libertà, come abbiamo visto) è indispensabile anche per la corretta attribuzione di responsabilità. La tesi di Frankfurt è che tale principio, per quanto apparentemente ovvio, è in realtà falso. Per dimostrare ciò, Frankfurt ha esposto alcuni casi che, a suo giudizio, rappresentano chiari controesempi al principio delle possibilità alternative (un gran numero di altri ‘controesempi ‹à la› Frankfurt’ è stato in seguito elaborato da altri autori) [50].

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[50]. Per una rassegna della letteratura sui controesempi ‹à la› Frankfurt, con le sue complesse diramazioni, cfr. Fischer (2002).

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (3)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

In effetti, fino a tempi recenti è parso estremamente naturale ritenere che il concetto di responsabilità morale fosse correlato da un nesso di carattere analitico con la possibilità di fare altrimenti (che abbiamo visto essere requisito essenziale della definizione di libertà). Tuttavia, in un famoso saggio del 1969, il già citato Harry Frankfurt ha mostrato che le cose non sono affatto così semplici [48]. Frankfurt ha battezzato la tesi discussa da Chisholm «principio delle possibilità alternative» e l’ha così formulata:
Una persona è moralmente responsabile per ciò che ha fatto solo se poteva fare altrimenti [49].

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[48]. Frankfurt (1969). I paragrafi 6 e 7 di questo capitolo, dedicati a Frankfurt, derivano in parte da De Caro (1999c).

[49]. Ivi, p. 116 (le traduzioni da Frankfurt sono mie).

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Libero arbitrio… • 4.6. La rilevanza della libertà (1-2)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

In un breve saggio del 1958, Roderick Chisholm sosteneva che il seguente enunciato è un esempio di verità logica:
Se una scelta [da noi compiuta] è tale che non avremmo potuto evitare di compierla, allora tale scelta è tale che noi non ne siamo moralmente responsabili [46].

Secondo Chisholm, dunque, ‹la possibilità di fare altrimenti› (che concerne sia le scelte sia le azioni) è ‹condizione› (logicamente) ‹necessaria› della responsabilità morale:
Se un uomo è responsabile di ciò che ha fatto, allora possiamo dire: «avrebbe potuto fare altrimenti». E se possiamo dire: «Non avrebbe potuto evitare [una determinata scelta o azione]», allora egli non è responsabile di ciò che ha fatto [47].

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[46]. Chisholm (1961, p. 145).

[47]. 𝐼𝑏𝑖𝑑.

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (17-18)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

In realtà, l’interessante tentativo strawsoniano, pur avendo l’innegabile merito di mettere in luce il fondamentale nesso che le attribuzioni di responsabilità hanno con la rete degli atteggiamenti reattivi e dei sentimenti morali, e più in generale con la prospettiva agenziale, sembra troppo sbilanciato sul versante avverso alla metafisica. Come dimostrano con chiarezza gli sviluppi che questa disciplina ha conosciuto negli ultimi decenni, soprattutto in ambiente analitico, non è affatto necessario che la metafisica assuma un punto di vista simile a quello della teologia né che ignori metodologicamente le acquisizioni della scienza e le intuizioni del senso comune [45].

Nei prossimi paragrafi considereremo invece un diverso tentativo di attaccare la tesi libertaria secondo la quale la libertà (intesa in senso abbastanza robusto da inglobare la possibilità di fare altrimenti) è prerequisito essenziale della responsabilità. Questo tentativo, al contrario di quello di Strawson, si sviluppa proprio su un terreno esplicitamente metafisico.

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[45]. Da questo punto di vista, la prospettiva di ‹Freedom and Resentment› è un po’ invecchiata, nel suo presupporre un punto di vista come quello dell’analisi del linguaggio ordinario, che com’è noto è di impianto radicalmente antimetafisico. Tuttavia da Kripke a Putnam, da Dummett a Nozick, oggi non mancano certo autori che ci autorizzano a ritenere che la metafisica possa indagare la struttura più profonda della realtà, senza per questo incorrere nel venerando realismo metafisico che presupponeva il punto di vista divino sulla realtà.

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (15-16)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

A me sembra invece che l’analogia strawsoniana non sia calzante. Noi probabilmente non possiamo, per fare un esempio, concepire un mondo senza causazione (lo humeano «cemento dell’universo»); possiamo però facilmente figurarci un mondo senza responsabilità: un mondo senza esseri razionali, ad esempio. Oppure possiamo immaginare che nel ‹nostro› mondo gli esseri umani si estinguano, ma sopravvivano loro macchine deterministiche in grado di riprodursi: in fondo, il libertario non fa altro che temere che questo sia ‹già› il caso del nostro mondo — se è vero il determinismo.

Per quanto brillante, la duplice argomentazione antilibertaria di Strawson non è stringente: essa non prova, infatti, che per noi sarebbe irrazionale e innaturale smettere di considerarci responsabili delle nostre azioni, qualora si dimostrasse che siamo determinati [44].

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[44]. Tornerò su alcuni aspetti della concezione di Strawson nell’ultimo capitolo.

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (13-14)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

A mio giudizio, non è affatto ovvio che Strawson abbia ragione e Berlin torto: non è affatto ovvio cioè che il mantenimento degli atteggiamenti reattivi e delle ascrizioni di responsabilità da parte nostra sarebbe, come pensa Strawson, un «fatto naturale». La verità sembra essere piuttosto che in questo ambito le nostre intuizioni ‹non sono chiare› a sufficienza, né in un senso né nell’altro, dunque non possiamo fondarci su di esse per capire che cosa faremmo ‹di fatto› se scoprissimo la verità del determinismo.

Che la strategia naturalistica non funzioni si evince anche da un rapido sguardo all’analogia che Strawson sviluppa richiamandosi alle nostre credenze nella causalità, nell’induzione, nell’esistenza dei corpi [43]. È vero, a mio giudizio, che noi non potremmo cessare di mantenere tali credenze, anche in presenza di convincenti argomenti contrari. Ma, si chiede Strawson, con la responsabilità non accade forse la stessa cosa, che sia vero il determinismo o meno?

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[43]. P.F. Strawson (1998)

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (12)

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L’ipotesi di Berlin non è affatto assurda, come può dimostrare un esperimento mentale. Se un giorno scoprissi che il mio vicino di casa è un sofisticato robot, controllato deterministicamente da uno scienziato, certo cambierei il mio atteggiamento verso di lui [41]. In un simile caso, non sarebbe affatto ‘naturale’ per me continuare a considerarlo responsabile delle sue azioni: ad esempio, se il mio vicino di casa-robot una notte mi svegliasse suonando il tamburo non proverei risentimento verso di lui, ma verso lo scienziato che lo ha programmato a fare una cosa del genere. D’altra parte sarei ancora più sconcertato se scoprissi che ‹tutti› gli abitanti del mio palazzo (o tutti i miei concittadini) sono controllati deterministicamente. E cosa faremmo, allora, se avessimo ragione di pensare che ‹noi tutti› siamo meccanismi deterministici? [42]

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[41]. Questa ipotesi non è affatto inconcepibile (sebbene sia al momento del tutto improbabile). Possiamo immaginare che lo scienziato potrebbe convocarmi un giorno nel suo laboratorio e mostrarmi come determina le azioni del mio vicino di casa. Possiamo anche immaginare che l’evidenza empirica apportata dallo scienziato sia tanto imponente che sarebbe per me irrazionale rifiutarmi di credere che il vicino è interamente determinato (lo scienziato, ad esempio, potrebbe prevedere completamente, in mia presenza, le azioni del mio vicino per un lungo periodo, magari inducendolo a compiere azioni bizzarre).

[42]. Sviluppando l’argomento della nota precedente, non mi sembra inconcepibile nemmeno la situazione in cui uno scienziato determini i comportamenti di ‹tutti› gli esseri umani e possa dimostrarlo induttivamente (ad esempio, mostrando come determina le azioni di un numero sufficientemente alto di individui presi a caso). In un tale scenario, la nostra fiducia nelle attribuzioni di responsabilità sarebbe profondamente scossa, con buona pace di Strawson. Molto meno chiaro, invece, è ciò che accadrebbe se si avesse ragione di pensare che la determinazione riguardi ‹se stessi›. Thomas Nagel (1997, p. 117) ritiene una tale situazione sia letteralmente inconcepibile: «Il dubbio rispetto alla propria razionalità è instabile e non ci lascia nulla su cui pensare». Così, se teoricamente non posso escludere la possibilità che io effettivamente non controlli le mie azioni, di fatto «non posso attribuirla a me stesso più di quanto possa immaginare che ora non sto pensando». Le perplessità di Nagel su questo punto non mi sembrano illegittime; esse però non alterano sostanzialmente i termini della questione.

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (11)

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Ma la strategia naturalistica di Strawson presenta anche difficoltà interne. Essa, per iniziare, si basa su un’intuizione che non è affatto universalmente condivisa: secondo alcuni, infatti, le conseguenze dell’accertamento della verità del determinismo sarebbero diametralmente opposte a quelle prospettate da Strawson. Ecco come si esprime in proposito un altro celebre filosofo oxoniense:
Se il determinismo sociale e psicologico venisse accettato come una verità conclamata, il nostro mondo si trasformerebbe più radicalmente di quanto non accadde al mondo teleologico dell’età classica e del medioevo con i trionfi dei principi meccanicistici o con quelli della selezione naturale. Le nostre parole — i nostri modi di parlare e di pensare — si trasformerebbero in maniera letteralmente inimmaginabile; le nozioni di scelta, di responsabilità, di libertà sono così profondamente incastonate nella nostra concezione che è per noi enormemente difficile immaginare la nostra nuova vita di creature viventi in un mondo in cui veramente mancassero questi concetti. Ad ogni modo, allarmarci per questo sarebbe per noi del tutto ingiustificato [40].

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[40]. Berlin (1954, pp. 161-162). Sulle tesi berliniane sulla libertà, cfr. Ricciardi (1998b).

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (10)

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Questa strategia argomentativa è seducente; ma a mio giudizio nemmeno essa si dimostra adeguata. In primo luogo, se anche si riuscisse a dimostrare che noi non saremo mai in grado di abbandonare gli atteggiamenti reattivi sulla base di mere considerazioni intellettuali, la forza di una tale conclusione sarebbe meramente ‹descrittiva›: essa, cioè, concernerebbe il piano psico-antropologico, ma non quello della razionalità (e, come abbiamo appena visto, la strategia razionalistica tentata da Strawson per dimostrare questa tesi sul piano razionale-prescrittivo non riesce nell’intento) [39]. Quand’anche, allora, l’autore avesse ragione nel pensare che un’eventuale constatazione della verità del determinismo non potrebbe comunque alterare il nostro ‹naturale› coinvolgimento nella rete degli atteggiamenti reattivi e delle attribuzioni di responsabilità, resterebbe comunque il fatto che, a quel punto, un tale coinvolgimento non sarebbe più razionale: insorgerebbe infatti un conflitto tra ciò che in tale situazione sarebbe per noi ‹razionale› fare e ciò che invece ci verrebbe ‹naturale› fare. E tale conflitto, si noti, non sarebbe di poco conto: laddove, infatti, sarebbe razionale sostenere che gli agenti ‹non› sono responsabili delle proprie azioni, noi ‹naturalmente› tenderemmo a ritenerli tali.

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[39]. Un sostenitore della strategia naturalistica di P.F. Strawson potrebbe forse essere tentato di identificare ‹simpliciter› il piano della razionalità con quello della naturalità, superando così la difficoltà cui accenno in questo paragrafo. Ma una tale inferenza ‹ab esse ad necesse› — per quanto, in questi anni di naturalismo rampante, a qualcuno possa forse apparire auspicabile — avrebbe senz’altro bisogno di vigorosi argomenti a sostegno.

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (9)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

Considerata tale ‘naturalezza’ del sistema degli atteggiamenti reattivi e delle ascrizioni di responsabilità, nota Strawson con spirito humeano, la richiesta libertaria di abbandonare il sistema qualora si dimostrasse la verità del determinismo avrebbe la stessa possibilità di successo della richiesta di abbandonare — sulla base di altrettanti argomenti metafisici — la nostra istintiva fiducia nell’induzione [36], nel principio di causalità [37] o nell’esistenza dei corpi [38].

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[35]. P.F. Strawson (1962, p. 11).

[36]. Ivi, p. 23 n.

[37]. P.F. Strawson (1998, p. 260).

[38]. P.F. Strawson (1985, pp. 32-33).

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (8)

  •  D e C a r o  (2 0 0 4)  •  4.  L i b e r t à  e  r e s p o n s a b i l i t à  •

In tal modo, se anche potessimo un giorno convincerci della verità del determinismo — e perfino della necessità razionale di abbandonare i sentimenti morali, gli atteggiamenti reattivi e le attribuzioni di responsabilità —, ‹di fatto› un tale passo sarebbe per noi impossibile. La rete dei sentimenti morali infatti è, secondo Strawson, un elemento costitutivo essenziale della vita sociale e non è possibile porsi da un punto di vista ‹esterno› ad essa (ovvero da un punto di vista metafisico) dal quale giudicare della correttezza o meno dell’adozione di questa rete. Se un giorno divenissimo consapevoli di essere causalmente determinati, ciò sarebbe ininfluente sul piano pratico: noi non potremmo che continuare ad interagire, come se nulla fosse, gli uni con gli altri, alla luce del sistema degli atteggiamenti reattivi e dei sentimenti morali. La nozione di responsabilità e tutte le pratiche che ne dipendono (incluse le pratiche punitive, morali e legali) non ne sarebbero in alcun modo alterate. Con le parole di Strawson:
A mio giudizio, per gli esseri umani la partecipazione alle relazioni interpersonali ordinarie rappresenta un impegno troppo completo e troppo profondamente radicato per poter seriamente pensare che una convinzione teorica generale [come la scoperta della verità del determinismo] possa cambiare il nostro mondo al punto che non si darebbe più nulla come le relazioni interpersonali, così come noi normalmente le intendiamo [35].

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[35]. P.F. Strawson (1962, p. 11).

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (7)

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La strategia strawsoniana tesa a dimostrare l’irrazionalità delle tesi del libertario non è dunque convincente. Tuttavia, come dicevo, il fulcro della polemica antilibertaria di Strawson è rappresentato piuttosto da un’altra, indipendente, strategia argomentativa: quella naturalistica. Secondo la tesi cruciale di tale strategia, è ‹un fatto› — un «fatto naturale» della nostra costituzione — che noi non potremmo ‹mai› abbandonare il sistema dei sentimenti morali, degli atteggiamenti reattivi e delle attribuzioni di responsabilità, quali che siano le indicazioni teoriche o metafisiche in proposito:
Il nostro essere ineludibilmente impegnati [negli atteggiamenti reattivi] è un fatto naturale, qualcosa di così profondamente radicato nella nostra natura quanto lo è la nostra esistenza di esseri sociali [34].

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[34]. P.F. Strawson (1985, pp. 32-33, corsivo mio).

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (6)

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A mio giudizio, però, nemmeno questo argomento è convincente. Esso tenta di mostrare ‹a priori›, sulla base di un’analisi della nozione di razionalità, l’erroneità della tesi libertaria secondo la quale, qualora scoprissimo che siamo determinati, non potremmo razionalmente continuare a pensarci responsabili e passibili di giudizi morali. Tuttavia, a mio giudizio, questo argomento di Strawson si fonda su una concezione troppo rigidamente utilitaristica della razionalità: tale concezione, infatti, contraddice una nostra nitida intuizione secondo la quale il perseguimento della verità e della conoscenza è una componente essenziale del nostro essere razionali [32]. Di qualcuno che consapevolmente decidesse di vivere nell’ignoranza e nell’inganno pur di aumentare, o di preservare, il proprio benessere, non diremmo affatto che tiene un comportamento razionale: al contrario, la vita di questo individuo ci apparirebbe radicalmente impoverita. In considerazione di ciò, se un giorno avessimo ragione di ritenere che la nostra responsabilità è minata dal determinismo (una possibilità che ‹questo› argomento di Strawson non esclude), sarebbe irrazionale continuare a crederci responsabili [33].

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[32]. Galen Strawson (1986) sviluppa questo e altri argomenti contro le tesi espresse dal padre in ‹Freedom and Resentment›.

[33]. Per una concezione della razionalità simile, per molti versi, a quella qui delineata, cfr. Nozick 1989 (su cui Gessa Kurotschka 2004).

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (5)

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Contro i libertari, comunque, Strawson propone anche altre obiezioni. Ad esempio, egli offre anche una diversa ragione per ritenere che se anche scoprissimo la verità del determinismo non sarebbe per noi razionale abbandonare il sistema dei sentimenti morali, degli atteggiamenti reattivi, delle attribuzioni di responsabilità, come invece perorano i libertari. A suo giudizio, infatti, la razionalità di una decisione va valutata considerando «i guadagni e le perdite che ne deriverebbero alla vita umana, l’arricchimento o l’impoverimento che essa potrebbe riceverne». Ma quale potrebbe mai essere l’arricchimento che deriverebbe dall’abbandono delle nostre consuete modalità d’interazione sociale e di valutazione morale? [31] Un tale abbandono in realtà comporterebbe un’enorme svalutazione delle nostre vite: dunque la razionalità ci imporrebbe di conservare il sistema dei sentimenti morali e delle attribuzioni di responsabilità.

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[31]. P.F. Strawson (1962, p. 13).

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (4)

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Ora, che l’anormalità possa essere percepita solo sullo sfondo della normalità è certamente vero; ma Strawson sbaglia nel pensare che ciò rappresenti un problema per il libertario. Questi, infatti, ‹non› afferma che se il determinismo si dimostrasse vero, scopriremmo ‹ipso facto› che siamo tutti anormali; egli afferma piuttosto che scopriremmo che siamo ‹incapaci› di agire liberamente. Tuttavia, se è effettivamente assurda l’idea di ‹anormalità› globale, non c’è proprio nulla di assurdo nell’idea di ‹incapacità› globale [29]. E la cupa prospettiva dell’incapacità globale è più che sufficiente al libertario per sviluppare il suo argomento [30].

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[29]. Cfr. 𝑖𝑛𝑓𝑟𝑎 in questo paragrafo per un argomento teso a dimostrare la concepibilità di questa ipotesi.

[30]. Cfr. Russell (1995, pp. 298-301).

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In effetti, noi di norma assumiamo il punto di vista oggettivo solo nei confronti di persone che consideriamo psichicamente anormali; ma quella di ‘anormalità’ è ovviamente un’attribuzione relativa, che assume la ‘normalità’ degli altri agenti come base comparativa. Tuttavia, nota Strawson, il libertario pretende di dimostrare che se scoprissimo la verità del determinismo, dovremmo applicare il punto di vista oggettivo a tutti gli agenti: ma ciò sarebbe errato. Anche in uno scenario del genere, infatti, sarebbe per noi impossibile considerare ‹tutti e sempre› anormali, come invece pretenderebbe il libertario: l’anormalità infatti può essere percepita soltanto sullo sfondo della normalità [28].

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[27]. P.F. Strawson (1962, p. 11, corsivo mio).

[28]. 𝐼𝑏𝑖𝑑.

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Libero arbitrio… • 4.5. Il ruolo degli atteggiamenti reattivi (2)

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Secondo i libertari — che sostengono l’incompatibilità di libero arbitrio e determinismo — se si provasse la verità del determinismo, allora sarebbe ‹razionale› abbandonare i normali atteggiamenti reattivi e le quotidiane attribuzioni di responsabilità: in una tale situazione, cioè, dovremmo assumere, sempre e per tutti, l’atteggiamento oggettivo che normalmente usiamo solo nei confronti degli sfortunati portatori di determinate, gravi patologie psichiche. A parere di Strawson, al contrario, in una tale situazione sarebbe comunque razionale conservare l’intero sistema degli atteggiamenti reattivi e delle attribuzioni di responsabilità: ‹dovremmo› cioè continuare a guardare agli altri e a noi stessi come ad agenti, non come a meri oggetti naturali.

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