Secondo questo punto di vista, non ha senso dire che i criminali ‹meritano› le pene loro attribuite o che queste sono la giusta ‹retribuzione› per i loro reati [17]. Le pene, piuttosto, si giustificano per la loro ‹utilità sociale›, in quanto misure rieducative per gli autori di atti criminosi e deterrenti per i criminali potenziali (la giustificazione utilitaristica dei giudizi morali è analoga a quella delle pene: le lodi e le critiche hanno la funzione di incentivare i comportamenti benefici e disincentivare gli altri). In tal modo, la nozione di responsabilità viene definita in termini esclusivamente ‹pragmatici›: un agente è moralmente e penalmente responsabile se, e solo se, indirizzandogli giudizi morali o comminandogli pene si possono ottenere conseguenze utili sul piano pratico. Secondo questo punto di vista, che possiamo chiamare ‘tesi della regolazione sociale’, non c’è alcun buon motivo per interessarsi alla questione del nesso tra responsabilità e libertà — e meno ancora per preoccuparsi dell’apparente insolubilità del problema della libertà — semplicemente perché i due concetti sono sostanzialmente irrelati.
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N O T E
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[17]. Cfr. Hospers (1961), Skinner (1971), Klein (1990), Waller (1990), G. Strawson (1986), Honderich (1988, vol. 2, capp. 1-2), Double (1991).
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K E Y W O R D S
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[] M. D e C a r o, ‹I l l i b e r o a r b i t r i o …›, L a t e r z a, 2 0 0 4.
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