[⇐] I suoi personaggi non vivono. Si spiano vivere. Non sono mai in presa diretta della realtà, invece spiata dietro le porte o filtrata attraverso lo specchio, come in un atto furtivo e vergognoso. Le uscite da questo mondo protettivo e claustrofobico, le comunicazioni con un esterno reale, le telefonate a esempio, vanno nascoste nel chiuso dello sgabuzzino. Li, al buio, si rifugia durante tutta la devastazione-furto il giudice, si rannicchia nel suo delirio, sobbalza alla ‹violenza› dei tonfi e delle sciabolate delle luci accese dai ladri. Il suo segno è la paura del reale che non può che negare a ogni istante come un pericolo. I giochi rumorosi, vitali del bambino esplodono, botti contro la porta o sordo rintronare nelle stanze, come infrazione non tollerabile, che va punita. È una scelta formale difficile e spinta sino all’estremo, controllata nel suo ‹senso› con precisione e durezza, che è innervato di tensioni segrete, per esempio i “segni dell’inimicizia che bene riprendono i ‹Pugni in tasca› (il parlare da soli, il far gesti ostili di nascosto)”, e immerso come non mai in sapiente “lavoro di composizione fra forme e volti, oggetti e movimenti, luci e ombre” — e in questa direzione, l’esperienza del ‹Gabbiano›, rivisitazione e confronto dialettico con un testo che è per Ripellino “dialogo sull’arte scenica e sulla strategia dello scrivere”, appare davvero determinante, nel suo essere stata produttiva pausa di riflessione intorno alla propria condizione di artista, giovandosi anche delle coincidenze autobiografiche con il testo cechoviano, e nello stesso tempo operazione di ricerca espressiva, destinata a anticipare la maturità stilistica di questo ‹Salto nel vuoto›. Cocteau sosteneva che “le style c’est de chercher de ne pas en avoir un — mais, sans y parvenir”, cioè è imposto dallo spirito vitale con cui si investono i materiali, il soggetto, il tema, è “trovato” nell’atto stesso di sancirne la supremazia. Ciò che fonda il nerbo e il valore del film è proprio la lenta, nascosta, ma perfetta saldatura che si compie tra il piano dello stile, mai esibito in sé e possibile oggetto di proposta linguistica, e quello dell’esperienza.
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K E Y W O R D S
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[] M. B e l l o c c h i o, ‹S a l t o n e l v u o t o›, U n i v. e c o n. F e l t r i n e l l i, 1 9 8 0.
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