La differenziazione che ha collocato su sponde opposte la donna e l’uomo, la famiglia e la civiltà, ancorandoli nel medesimo tempo a logiche d’amore, di armonioso ricongiungimento, e di ostilità, rifiuto e cancellazione del diverso, non poteva che venire dall’interno della storia, come sdoppiamento di quell’unico sesso che se ne è fatto protagonista. Quando si definiscono le figure del maschile e del femminile, si può pensare che la donna, nel suo essere reale, sia già sparita dall’orizzonte, che sia già avvenuta quella riduzione al medesimo che ha permesso all’uomo di proiettare su di lei aspetti contrastanti della sua umanità: minaccioso deve essergli parso il corpo con cui è stato tutt’uno, in un rapporto mai estinto di dipendenza e attrazione, salvifica la possibilità di farne il custode di tutti i valori che non riusciva a trovare in se stesso e nei suoi simili. Sul luogo che è rimasto a rappresentare il “modello di ogni felicità” — la madre, l’origine, l’infanzia — convergono nostalgia e violenza dominatrice, idealizzazione e svilimento, bisogno di appartenenza e di fuga.
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K E Y W O R D S
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