Salto nel vuoto • Colloquio… (d15-16)

  •  B e l l o c c h i o  (1 9 8 0)  •  C o l l o q u i o  c o n  M a r c o  B e l l o c c h i o  •

•  A livello di stile, negli altri film hai una base naturalistica che fai ‹esplodere› per via di deformazione espressionistica che ne dilata il senso, ne fa una metafora. Qui si va invece verso il “fantastico”, una dimensione più ambigua tra realtà e irrealtà. Questa forma più sottile e insinuante è detta [sic!] soltanto dal tema, dal modo in cui esso ti è cresciuto dentro?

Il film, fin nella fotografia, è fatto di penombra e contrasti. Dato il lavoro sulle minuzie, mi sembrava che lo stile dovesse essere più uno stile da microscopio. Uno stile non freddo, ma “oggettivo”. Meno espressionistico, grottesco. I bambini, poi, sono i fantasmi della casa. Sono gli abitatori che emergono quando loro dormono. Sono, più che dei flash, i fantasmi inquieti della casa, senza pace, e che spariscono soltanto dopo la distruzione. Perché appunto non hanno più ragione di esistere.


•  Mi pare che questa sia la dimensione del film, la compresenza di diverse realtà che aggregano la realtà vera. E mi sembra che siano espressione di un diverso rapporto con il reale, rispetto all’aggressione. Questa va verso il “fuori”, quella verso il “dentro”, il profondo.

Intenzionalmente, senz’altro. Il carattere del film è proprio questo.

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K E Y W O R D S
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[]  M.  B e l l o c c h i o,  ‹S a l t o  n e l  v u o t o›,  U n i v.  e c o n.  F e l t r i n e l l i,  1 9 8 0.
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