Ma dove le contraddizioni legate alla persistenza del modello originario dell’amore appaiono più evidenti, è nell’analisi che Freud fa del “disagio” della civiltà. Dopo aver tentato di idealizzare la coppia madre-figlio come “esente da ambivalenze”, Freud è costretto a riconoscere che “l’uomo non è una creatura mansueta”: “Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire, a torturarlo e a ucciderlo”. Se Eros appare inizialmente come il fondamento di sempre più ampie aggregazioni umane, dall’altro è impossibile non accorgersi che esso entra presto in conflitto con la civiltà. Una volta che è riuscito a “fare di più d’uno uno”, a costruire unioni ideali, l’amore non vuole andare oltre, e ogni esterno gli appare minaccioso o superfluo: “La coppia degli amanti basta a se stessa”. Famiglia e vita pubblica, non solo non si pongono su una linea di continuità, ma finiscono per rappresentare l’una per l’altra un pericolo: “La civiltà si comporta verso la sessualità come una stirpe o uno strato di popolazione che ne abbia sottomesso un altro per sfruttarlo, e che vive perciò nel timore costante dell’insurrezione”.
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K E Y W O R D S
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