Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (14)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Freud segue insomma la rappresentazione biblica orientata alla memoria storica e culturale senza rendersi conto evidentemente di seguire una linea fedele all’ortodossia. Non si accorge neppure che anche la Bibbia rappresenta l’avvento del pensiero monoteistico e lo scoppio della violenza iconoclasta sotto il re Giosia, nel capitolo 22 del Secondo libro dei Re, con il ritrovamento del cruciale libro della legge dopo che s’era perso per secoli, rappresentando così anche una sorta di ritorno del rimosso. Freud non fece altro che integrare la rappresentazione biblica con una dimensione psicostorica. Lo scoppio della violenza, presentato dalla Bibbia in termini di violenza fisica collegata alla riforma del culto intrapresa da Giosia — la distruzione dei santuari, degli altari, del tempio di Baal, delle immagini e dei simboli di culto, la deportazione e il massacro dei profeti — è descritta da Freud come una violenza rivolta all’interno, all’anima degli ebrei, una costrizione a cui non si può opporre resistenza.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (13)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Il rifiuto delle immagini e soltanto quello schiude l’ingresso al regno dello spirito: il «trionfo della spiritualità». Freud intese il secondo comandamento come la proclamazione per eccellenza dell’invisibilità e della non raffigurabilità per immagini di Dio. Come il motto: «Dove c’era l’Es deve subentrare l’Io» definisce lo sviluppo personale dell’individuo, così il comandamento di «posporre la percezione sensoria alla rappresentazione cosiddetta astratta» definisce lo sviluppo dell’umanità, in cui il monoteismo, con la sua proibizione di raffigurare Dio per immagini, rappresenta il passo decisivo su questa strada. Le «necessarie conseguenze psicologiche» della rinuncia pulsionale sono, secondo Freud, l’odio per la cultura (si vedano i suoi scritti ‹Il disagio della civiltà› e ‹Il futuro di un’illusione›), nonché l’aggressione. Era a queste fonti che si abbeverava l’ipotesi di Freud dell’assassinio di Mosè oppure, cosa che anche da sola sarebbe stata sufficiente per la sua argomentazione, il desiderio più volte espresso di eliminarlo.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (12)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Freud non si ferma comunque alla diagnosi del monoteismo inteso come nevrosi ossessiva collettiva, e non interpreta il monoteismo esclusivamente come costrizione irrazionale bensì, sorprendentemente, anche come «progresso nella spiritualità». E anche questo si mostra ai suoi occhi come una fonte di violenza. Decisivo per tale interpretazione è il divieto di produrre immagini, quel divieto con cui il decalogo collega il concetto del Dio geloso alla sua distinzione tra amico e nemico:
Tra i precetti della religione mosaica se ne trova uno che è più importante di quanto non si riconosca a prima vista. È il divieto di fare immagini di Dio, l’imposizione di adorare un Dio che nessuno può vedere. La mia opinione è che in questo punto Mosè fu ancora più rigoroso della religione di Atòn; forse voleva soltanto essere conseguente (il suo Dio non aveva né nome né volto), e forse era una nuova precauzione contro abusi magici. Ma quando questo divieto fu accettato, esso dovette esercitare un effetto profondo. Esso significa infatti posporre la percezione sensoria alla rappresentazione cosiddetta astratta, un trionfo della spiritualità sulla sensibilità, in termini rigorosi una rinuncia pulsionale con le necessarie conseguenze psicologiche [13].

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NOTE
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[13]. Freud, ‹L’uomo Mosè e la religione monoteistica›, cit., p. 125.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (11)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Nel monoteismo il ricordo ritorna al padre originario dell’orda primigenia, ucciso e tuttavia subito idolatrato come totem, e con ciò ritorna anche, nella forma sublimata della «religione del padre», anche la violenza paterna che richiede obbedienza e amore assoluti, e in segno di questi la circoncisione, un simbolo appena velato della castrazione originaria [12]. La violenza liberata da questo ritorno del rimosso si ripercuote all’interno sopraffacendo il pensiero logico, la cui «costrizione» è messa fuori gioco dalla costrizione più forte che la nuova religione impone.

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NOTE
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[12]. Per il significato della circoncisione nella semantica monoteista della violenza e del peccato vedi F. Maciejewski, ‹Psychoanalytisches Archiv und jüdisches Gedächtnis. Freud, Beschneidung und Monotheismus›, Wien, Passagen-Verlag, 2002.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (10)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Questo «indugio nell’inconscio» Freud non lo può spiegare altrimenti che con l’aiuto della sua teoria dei ricordi filogenetici:
Se studiamo le reazioni ai traumi del bambino piccolo, siamo spesso sorpresi di trovare che esse non si attengono strettamente all’effettiva esperienza individuale, ma si allontanano da essa in maniera che s’adatta assai meglio al modello di un evento filogenetico e che, in modo del tutto generale, può essere spiegata solamente mediante un suo influsso. Il contegno del bambino nevrotico verso i genitori nel complesso edipico e in quello di evirazione abbonda di tali reazioni, che individualmente appaiono ingiustificabili e divengono comprensibili solo filogeneticamente, poste in relazione con le esperienze di generazioni precedenti [11].

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NOTE
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[11]. Freud, ‹L’uomo Mosè e la religione monoteistica›, cit.; le due citazioni alle pp. 113 e 111.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (9)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

A uno sguardo più ravvicinato, però, tale costruzione crolla come un castello di carte. Interessante è il motivo della violenza che Freud pone, insieme ai concetti di «assassinio» e «trauma», al centro della sua ricostruzione del monoteismo. Si tratta comunque di una violenza più spirituale che psichica, che io preferisco chiamare «costrizione», un concetto meno forte di violenza [10]. Il monoteismo rimosso si fa strada in forma di ritorno del rimosso, cioè con una costrizione sopraffattoria in grado di mettere in ginocchio la ragione:
Una tradizione fondata solo sulla comunicazione non potrebbe produrre quel carattere coatto che è tipico dei fenomeni religiosi. Essa sarebbe ascoltata, criticata, fors’anche respinta come ogni altra notizia proveniente dall’esterno, e non otterrebbe mai il privilegio di sfuggire alla coazione del pensiero logico. Essa deve aver provato il destino della rimozione, la condizione d’indugio nell’inconscio, prima di essere in grado di sviluppare al suo ritorno effetti così potenti, prima di poter incantare le masse, come accade alla tradizione religiosa con nostro stupore e senza che finora siamo riusciti a spiegarcelo.

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NOTE
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[10]. Per questo motivo non riprendo il concetto di violenza «strutturale», introdotto da J. Galtung, ‹Strukturelle Gewalt. Beiträge Zur Friedens- und Konfliktsforschung›, Reinbek, Rowohlt, 1975, dove anche le azioni non violente di Gandhi sono intese come una forma di violenza. Preferisco parlare invece di «costrizione» al posto di «violenza».

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (…8a)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

[⇐]   Tuttavia, la diagnosi di latenza di Freud si basa di nuovo proprio su questo assassinio. Niente latenza senza rimozione, niente rimozione senza trauma, ma la spiegazione di questo trauma viene data proprio dall’assassinio di Mosè con il quale gli israeliti ripeterono l’assassinio del padre originario. Alle origini dell’umanità, gli uomini vivevano in orde nelle quali il maschio più forte pretendeva per sé tutte le donne minacciando i figli di castrazione, finché uno dei figli colpì a morte il padre e ne prese il posto. Questo sistema si è inscritto nell’anima umana in forma di memoria filogenetica e dà luogo alla sua costituzione edipica. L’assassinio di Mosè portò presso il popolo ebraico a un inasprimento del sentimento edipico:
Metterebbe conto di capire perché mai l’idea monoteistica fece un’impressione così profonda proprio sul popolo ebraico e fu da esso così tenacemente conservata. Credo che si può rispondere a questa domanda. Il destino aveva posto il popolo ebraico a contatto con la grande impresa e misfatto dei tempi primordiali, l’uccisione del padre, allorché l’aveva indotto a ripeterlo nella persona di Mosè, un’eminente figura paterna. Era un caso di «mettere in atto», invece di ricordare, come così spesso avviene col nevrotico durante il lavoro analitico [9].

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NOTE
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[9]. Freud, ‹L’uomo Mosè e la religione monoteistica›, cit., p. 100.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (8…)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

La ricostruzione e l’analisi presentate da Freud, per quanto brillanti e seducenti, sono però storicamente insostenibili. L’argomento più solido e decisivo, la «fase di latenza» del monoteismo tra il 1300 e il 700 a.C., è un fenomeno non della storia, ma della storia della memoria. Le idee che nella tradizione si legano al nome di Mosè emersero per la prima volta all’epoca dell’esilio o più tardi [6]. Quindi, innanzitutto tale latenza non ci fu mai; in secondo luogo tra Echnaton e Mosè non esiste alcun rapporto causale storicamente verificabile. Fu Freud a leggere i tratti della religione mosaica nella religione di Aton. Ciò riguarda soprattutto il rilievo assegnato all’etica, che è del tutto assente nei testi dell’epoca di Amarna [7]. È molto improbabile infatti che Mosè, sempre che sia realmente esistito, possa essere stato assassinato dagli ebrei, dal momento che il racconto biblico, che in più punti attribuisce agli israeliti l’intenzione di lapidare Mosè, non avrebbe avuto alcun motivo per tacere il verificarsi del fatto [8].   [⇒]

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NOTE
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[6]. E. Otto, ‹Mose. Geschichte und Legende›, München, Beck, 2006, p. 40.

[7]. Cfr. a questo proposito Assmann, ‹Ägypten. Eine Sinnesgeschichte› [sic!], cit., pp. 250 ss.

[8]. È l’argomento seguito da Y.H. Yerushalmi, ‹Freuds Moses. Endliches und unendliches Judentum›, Berlin, Wagenbach, 1992, contro la tesi freudiana dell’assassinio di Mosè sul campo.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (7)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Secondo Freud il monoteismo sorse sulla scia della politica di potenza mondiale esercitata dai sovrani tutmosidi in Egitto e si impose con il faraone Echnaton. Mosè, seguace di Echnaton, portò agli ebrei la nuova religione, perseguitata in Egitto dopo la morte del suo fondatore, ed emigrò con loro. La religione di Echnaton era molto esigente: rigettava infatti la tradizionale pluralità di dèi a vantaggio del solo dio del sole, respingendo il cerimoniale tradizionale, il culto dei morti, il culto dell’aldilà, la magia e la divinazione, a tutto vantaggio dell’etica. In un punto decisivo, però, Mosè superava persino Echnaton: nel divieto delle immagini e nell’accentuazione dell’invisibilità di Dio. Gli ebrei, incapaci di sopportare una religione così astratta e insensata, colpirono Mosè a morte. L’effetto fu traumatico e risvegliò ricordi rimossi dell’assassinio del padre nell’orda primigenia. Il trauma portò alla rimozione e questa condusse a una latenza. Si spiega così l’assenza dell’idea monoteista nei seicento anni intercorsi tra Mosè, che Freud colloca intorno al 1300 a.C., e i profeti che ne ripresero l’idea a partire dalla fine dell’VIII secolo a.C. Dopo altri duecento anni l’idea si diffuse in tutto il popolo, ma con una costrizione così violenta che si può comprendere soltanto nel senso di un ritorno del rimosso.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (6)

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Quello della caparbietà e della fragilità della fede della generazione del deserto, come della sua costante disposizione alla violenza — per due volte Mosè corre il rischio di essere linciato dalla folla inferocita [4] —, è un tema che percorre come un filo rosso sia il Nuovo sia l’Antico Testamento. L’opera storiografica del Deuteronomio diretta a giudicare tutti i re, da Israele a Giuda, in base al loro rispetto della legge, ne assolve soltanto tre con formula piena: Davide, Ezechia e Giosia. Tutti gli altri, imitando la generazione del deserto, foggiano vitelli d’oro, non rispettano la fedeltà a Yahweh e «si prostituiscono» agli altri dèi, non facendo affidamento su Dio e perseguitando crudelmente i suoi profeti fino a Gesù di Nazareth [5]. Insomma, il tema rimane presente nel corso dell’intera narrazione biblica.

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NOTE
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[4]. «Mosè gridò al Signore dicendo: “Che cosa farò di questo popolo? Ancora un po’ e mi lapiderà”» (Es 17, 4). «Tutta la comunità disse di lapidarli» (Nm 14, 10).

[5]. O.H. Steck, ‹Israel und das gewaltsame Geschick der Propheten›, Neukirchen-Vluyn, Neukirchener Verlag, 1967.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (5)

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Se Freud avesse letto più attentamente i testi, avrebbe visto quanto spazio veniva davvero dato nell’ambito della «religione mosaica» all’espressione dell’«odio omicida per il padre», se vogliamo riprendere ancora una volta questa diagnosi. Del resto, ciò che stupisce del racconto biblico è proprio il fatto che esso conceda tanto spazio alle manifestazioni di odio, ribellione, resistenza e mancanza di fiducia. Freud però ha perfettamente ragione nell’inserire il tema del «peccato» in questo contesto. Entrambi i termini, ‹odio› e ‹peccato›, stanno insieme. La «caparbietà», la recidività e la pusillanimità della generazione del deserto sono esempi di peccati gravi, soprattutto per come si presentano negli episodi riguardanti il vitello d’oro (Es 32) e la sommossa (Nm 14). Il tema del peccato non viene minimamente edulcorato, anzi, al contrario, è messo brutalmente in risalto e presentato in maniera ampia e circostanziata, relativizzato però in quanto «peccato dei padri». La storia delle peregrinazioni nel deserto viene narrata dal punto di vista di una generazione che prende chiaramente le distanze dalla generazione del deserto, anche se continua a insistere sul fatto che Dio persegue i peccati dei padri fino alla terza e quarta generazione. Non ho bisogno di sottolineare la terribile risonanza di questo tema in un paese in cui ogni generazione torna incessantemente a logorarsi sul tema dei peccati dei padri.

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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (4)

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Diagnosticando il monoteismo biblico, con una certa ragione, come «religione del padre», Freud collegava l’odio verso gli ebrei all’ambivalenza del rapporto con il padre:
L’ambivalenza è intrinseca al rapporto paterno; non poteva non ridestarsi, nel corso dei tempi, anche quell’ostilità che una volta aveva spinto i figli a uccidere il padre ammirato e temuto. Nella cornice della religione mosaica non c’era spazio per l’espressione diretta dell’odio omicida per il padre; poteva venire in luce solo una poderosa reazione a quest’odio: il senso di colpa per questa ostilità, la cattiva coscienza di aver peccato contro Dio e di non cessare di peccare [3].

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NOTE
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[3]. Freud, ‹L’uomo Mosè e la religione monoteistica›, cit., p. 147.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (2c-3)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Lei vede bene, Lou, che oggi in Austria non si può esprimere questa formula, che pure mi ha proprio affascinato, senza correre il rischio che le autorità cattoliche che ci governano proibiscano ufficialmente di praticare l’analisi. Ed è solo questo cattolicesimo a proteggerci contro il nazismo. Inoltre le basi storiche della questione mosaica non sono abbastanza solide da servire da fondamento alla mia preziosa intuizione [2].

Il tema non potrebbe essere riassunto in maniera più chiara e concisa. Bisogna dire però che Freud, in chiusura, mette in sordina due aspetti specificamente ebraici del suo progetto, forse per rispetto nei confronti della sua corrispondente non ebrea. Il primo è la questione dell’antisemitismo: il problema non è solamente «perché l’ebreo è diventato quello che è», ma anche «perché l’ebreo ha attirato su di sé quest’odio indelebile» (lettera ad Arnold Zweig del 9 settembre 1934). Il secondo è la «religione monoteista», che per Freud è l’ebraismo. Ma davvero la religione monoteista è soltanto «tipica» della «formazione della religione»? E la «forza persuasiva» è propria di ogni religione o non è forse il contrassegno della religione monoteista in quanto religione del padre? Benché Freud eviti di dare una risposta univoca alla questione riguardante l’origine dell’odio verso gli ebrei, è chiaro che egli allude a una reazione alla «religione monoteista» con le sue pretese di spiritualizzazione e di rinuncia pulsionale.

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NOTE
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[2]. S. Freud, ‹Eros e conoscenza. Lettere tra Freud e Lou Andreas Salomé 1912-1936›, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, pp. 201-202.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (2b)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Quest’ebreo sopportava la fede esigente della religione di Atòn altrettanto male degli egizi nel periodo precedente. Uno studioso cristiano, Ernst Selli, ha mostrato che probabilmente Mosè fu ucciso pochi decenni più tardi durante una sommossa del suo popolo e che il suo insegnamento fu ripudiato. Pare assodato che la tribù tornata dall’Egitto si riunisse poi con altre tribù affini che vivevano nel paese di Madian (tra la Palestina e il confine occidentale dell’Arabia) e avesse preso colà a venerare un dio vulcanico sul Monte Sinai. Questo dio primitivo, Yahweh, divenne dunque il Dio del popolo ebraico. Ma la religione mosaica non era dissolta; di essa e del suo fondatore era rimasto un oscuro ricordo, la tradizione fuse il dio di Mosè con Yahweh.
Attribuì a lui la liberazione dall’Egitto, e identificò Mosè con uno dei sacerdoti di Yahweh della zona di Madian, i quali avevano introdotto in Israele la celebrazione di ‹questo› dio. In realtà Mosè non aveva conosciuto il nome di Yahweh, gli ebrei non attraversarono mai il Mar Rosso, né furono al Sinai. Yahweh dovette espiare duramente la sua usurpazione ai danni del dio di Mosè. Il dio precedente non cessò di incalzarlo e, nel giro di sei-otto secoli, Yahweh fu ridotto a una copia del dio di Mosè. In quanto tradizione semiestinta, la religione di Mosè alla fine aveva trionfato. Questo processo è tipico della formazione di ogni religione, ed esso ha costituito la semplice ripetizione di un processo analogo avvenuto in precedenza. Le religioni devono la loro forza persuasiva al ritorno del rimosso, sono reminiscenze di processi della storia umana antichissimi, dimenticati e dal contenuto altamente affettivo. L’ho già sostenuto in ‹Totem e tabù› e lo ripeto ora in questa formula: la religione trae la sua forza non tanto dalla sua verità reale, ma da quella storica.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (…2a)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

[⇐]   La sua posizione è descritta con incomparabile precisione in una lettera del 6 gennaio 1935 a Lou Andreas-Salomé:
Parte dal mio domandarmi che cosa abbia realmente costituito il carattere dell’ebreo, e giunge a concludere che l’ebreo è una creazione dell’uomo Mosè. Chi fu questo Mosè, e qual è stata la sua influenza? A questi interrogativi si è data risposta in una specie di romanzo storico. Mosè non era ebreo, bensì un nobile egiziano, alto dignitario, sacerdote, forse un principe della dinastia reale, uno zelante seguace della fede monoteistica che il faraone Amenofi IV impose intorno al 1350 a.C. come religione di Stato. Allorché, alla morte del faraone, questa nuova religione venne abolita e la diciottesima dinastia si estinse, quell’uomo ambizioso mosso da così grandi mire aveva perduto tutte le sue speranze e decise di lasciare la patria per crearsi un nuovo popolo, che egli volle educare alla grandiosa religione del suo maestro. Egli si abbassò a scegliere la tribù semitica che dall’epoca degli hyksos era ancora rimasta nel paese, si pose alla sua testa, dall’asservimento la condusse alla libertà, le diede una religione, quella spiritualizzata di Atòn e introdusse, quale espressione di consacrazione e mezzo per distinguersi, la circoncisione che era costume segreto presso gli egizi e solo presso di loro. Ciò che gli ebrei in seguito vantavano del loro dio, e cioè che egli li avesse eletti come suo popolo e liberati dall’Egitto, fu vero, alla lettera, per Mosè. Con l’elezione e il dono della nuova religione, egli creò l’ebreo.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 3. Trauma e rimozione… (1-2…)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  3.  … L a  d i a g n o s i  d i  F r e u d  • 

Anche Sigmund Freud collega, nel suo libro ‹L’uomo Mosè e la religione monoteistica›, il tema del monoteismo a quello della violenza. Egli tuttavia non tratta della violenza connessa all’affermazione del monoteismo bensì, al contrario, della violenza di cui è oggetto.

In quest’opera, alla quale lavorò negli ultimi cinque anni di vita, Freud, che leggeva la Bibbia contro corrente, seguendo il suo metodo psicanalitico, si chiedeva che cosa il libro sacro tacesse, ma se lo chiedeva in maniera ortodossa rispetto alla rappresentazione biblica [1]. Anche per lui, infatti, il monoteismo si pone all’inizio in tutta la sua radicale purezza, per scomparire poi per oltre seicento anni e ripresentarsi solamente con i profeti alla fine dell’VIII secolo a.C.   [⇒]

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NOTE
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[1]. Sulle conoscenze bibliche di Freud cfr. T. Pfrimmer, ‹Freud, lecteur de la Bible›, Paris, Presses Universitaires de France, 1982, che ha ricostruito non solo tutti i riferimenti, le allusioni e le reminiscenze bibliche nei testi freudiani, ma persino l’orario delle lezioni di religione seguite da Freud a Vienna.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (9)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

Sullo sfondo di questa ricostruzione scientifica dei processi storici ancor più sorprendente appare la rappresentazione completamente diversa che ne dà la Bibbia. Nella sua ricostruzione della memoria tale rappresentazione colloca il monoteismo puro o maturo non alla fine di un lungo sviluppo bensì, in tutta chiarezza ed evidenza, al suo inizio, che essa pone al momento della rivelazione sul Sinai, cioè il momento della consegna della Torah a Mosè. Dal punto di vista storico questa ricostruzione è senz’altro «falsa», mentre è allo stesso tempo semanticamente corretta, nel senso che coglie il carattere rivoluzionario e antagonista di questa nuova forma di religione la quale, sottolineando il legame esclusivo con un solo Dio, si presenta come un fenomeno del tutto nuovo, rivoluzionario e non evolutivo rispetto alle religioni maggiori e ai loro dèi. La consegna della Torah non si colloca alla fine di un processo di sviluppo, ma segna una cesura radicale con quanto accaduto prima. Nella ricostruzione interna della memoria il monoteismo non ha alcun «precedente» nella preistoria politeistica del «paganesimo ebraico», ma si contrappone a quest’ultimo in modo netto.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (…8a)

•  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

[⇐]   Per attestare il fenomeno ci si riferisce a fonti molto diverse, archeologiche e letterarie. Ciò che la Bibbia presenta come la ricaduta in un paganesimo da tempo superato va inteso in verità come la normale e ufficiale religione di Israele, dalla quale il monoteismo si sviluppò lentamente sotto la pressione delle catastrofi politiche succedutesi dall’VIII al V secolo a.C. Le fonti archeologiche testimoniano del fatto che in Israele erano senz’altro presenti più dèi, mentre le fonti letterarie fanno presumere che l’esistenza di altre divinità non solo non fosse messa in discussione ma fosse anzi ampiamente riconosciuta, e che quindi l’Antico Testamento non trattasse di monoteismo ma di monolatria. Sembra addirittura che nell’Antico Testamento l’esistenza di altri dèi sia ampiamente presupposta e riconosciuta, se si vuole che la gelosia divina, l’accusa di infedeltà, persino la «prostituzione» con altri dèi e la continua esortazione alla fedeltà abbiano un senso pregnante. Si può dunque affermare che il monoteismo vero e proprio si articolò in Israele solo a partire dal Secondo Isaia, imponendosi soltanto molto più tardi.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (8…)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

Il carattere rivoluzionario del monoteismo biblico, la cesura radicale che esso pratica rispetto alle tradizioni religiose delle culture circostanti nonché rispetto alla propria tradizione, spietatamente condannata nei libri storici della Bibbia, è un fenomeno che non appartiene alla storia, ma che riguarda la storia della memoria. Mentre la storia si riferisce al modo in cui il monoteismo si è lentamente imposto in Palestina, la storia della memoria riguarda il modo in cui la Bibbia ricostruisce, ricordandolo, e rappresenta, raccontandolo, il cammino del monoteismo. Per quanto riguarda la storia, teologi e studiosi di scienze religiose sembrano privilegiare la prospettiva secondo la quale il monoteismo (la venerazione esclusiva di un dio e la negazione sostanziale dell’esistenza di altri dèi) si sarebbe sviluppato lentamente dal politeismo delle religioni orientali attraverso vari stadi intermedi, come l’«enoteismo» (l’emergere di uno dei tanti dèi) e la «monolatria» (l’adorazione esclusiva di un dio, pur nel riconoscimento dell’esistenza di altre divinità). Si tratta di una teoria che mi sembra alquanto plausibile, dal momento che da un lato già nelle religioni maggiori si sviluppa un forte enoteismo, che pone un dio supremo così in alto che tende a inglobare anche tutti gli altri («tutti gli dèi sono un dio»), e dall’altro la ricerca degli ultimi decenni ha messo sempre più in evidenza il fatto che il Dio di Israele originariamente non era altro che uno di questi «capi» del pantheon giunto a un certo punto a sovrastare gli altri dèi.   [⇒]

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (7)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

La seconda formula è presente innanzitutto nei testi di Echnaton di Amarna, del 1350 a.C. circa, e poi naturalmente, in maniera massiccia, nel monoteismo ebraico, cristiano e islamico. Questa forma, a cui Lewis non aveva pensato, potremmo definirla «monoteismo esclusivo». Essa non nasce dall’evoluzione del politeismo, ma vi si oppone come una rivoluzione. Nell’ambito del nostro tema ci interessa il monoteismo esclusivo e rivoluzionario, l’unico che parli il linguaggio della violenza. Questa definizione mi protegge anche dal rimprovero secondo cui il mio concetto di monoteismo sarebbe un fantoccio privo di fondamento storico, che non si è mai verificato nella storia né tantomeno è riscontrabile nella Bibbia [7]. Nessuno potrà pretendere di sostenere seriamente che la formula «non avrai altro Dio», o più esattamente, «non avrai altro dio all’infuori di Dio», non sia mai esistita, né sia mai stata pronunciata. È questo comandamento («non avrai altro Dio») il principio che mi interessa, perché non ha paralleli né è tendenzialmente insito nelle altre religioni maggiori.

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NOTE
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[7]. P. Schäfer, ‹Das Jüdische Monopol. Jan Assmann und der Monotheismus›, in «Süddeutsche Zeitung», 13 agosto 2004.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (6)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

Da che parte iniziare? Direi di metterci in primo luogo d’accordo su quel che vogliamo intendere per monoteismo. Il monoteismo si presenta nella storia in due sembianze. La prima si può ridurre alla formula che dice: «tutti gli dèi sono un unico dio»; la seconda alla formula che recita: «nessun altro dio all’infuori di Dio!». La prima forma, presente nei testi egizi, babilonesi, indiani e in quelli dell’antichità greco-romana, la chiameremo «monoteismo inclusivo». Come si espresse una volta Cliver S. Lewis, esso rappresenta non il contrario del politeismo, bensì il suo stadio maturo [6]. Tutte le religioni politeistiche conducono da ultimo alla prospettiva che tutti gli dèi siano uno.

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NOTE
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[6]. Cfr. C.S. Lewis, ‹L’allegoria dell’amore›, Torino, Einaudi, 1969.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (…5a)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

[⇐]   La questione del loro significato si pone poi in maniera ancora più pressante se questi episodi non vengono ritenuti storici ma simbolici, e quindi considerati saghe e leggende con le quali una società si costruisce o ricostruisce un passato in grado di dare senso prospettiva alle finalità e ai problemi attuali. Mi interrogo dunque sul significato di queste immagini. Perché si raccontano simili storie? Che cosa significavano per l’autorappresentazione del gruppo che allora conviveva con esse e in mezzo a esse, che cosa possono significare per noi oggi? Io non sostengo affatto, come invece mi viene sempre attribuito, che il monoteismo abbia introdotto la violenza, l’odio e il concetto di peccato in un mondo fino a quel momento pacifico [5]. È ovvio che la violenza, l’odio e la colpa esistevano già prima della nascita del monoteismo. Io mi limito a constatare che nei testi canonici delle religioni monoteiste i temi della violenza, dell’odio e del peccato hanno un ruolo preponderante in quanto assumono un significato specificamente religioso, diverso da quello delle religioni «pagane» di tipo tradizionale, dove la violenza è presente in relazione al principio politico della sovranità, non in rapporto alla questione divina e dove essa è una questione di potere, non di verità.

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NOTE
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[5]. Vedi a questo proposito le critiche pubblicate in appendice al mio libro ‹Die Mosaische Unterscheidung oder Der Preis des Monotheismus›, cit.

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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (5…)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

Mi chiedo dunque quale sia la funzione del tema della violenza nei testi in cui il monoteismo biblico racconta e ricorda la propria nascita e affermazione. Attenzione: la domanda non è «perché il monoteismo si affermò in maniera così violenta?», bensì «perché la sua affermazione venne rappresentata e ricordata nel linguaggio della violenza?». Il problema dal quale parto non è la violenza, ma è il linguaggio della violenza, le scene di massacri, azioni punitive, bagni di sangue, persecuzioni, separazioni forzate all’interno di matrimoni misti e così via, con le quali il monoteismo traccia, nella Bibbia ebraica, la storia della sua nascita e della sua affermazione. La fuga dall’Egitto, indotta con la violenza delle piaghe inviate da Dio; ma ancor più la conquista della terra di Canaan ottenuta attraverso un conflitto sanguinoso; persino la rivelazione sul Sinai, atto fondatore della religione monoteista, di cui sono parte inscindibile la storia del vitello d’oro e le sue feroci conseguenze; e ancora il racconto della sfida del profeta Elia ai sacerdoti di Baal, che si conclude con un massacro nel quale questi vengono sgozzati (1 Re 18); il bagno di sangue che Ieu, nel suo «zelo per il Signore» (2 Re 10, 16) predispone per la famiglia reale, i dignitari di Acab e i fratelli di Acazia come pure i sacerdoti di Baal (2 Re 10); i massacri legati alla riforma di Giosia: questi e altri episodi simili nella rappresentazione biblica circondano l’etnogenesi israelita e l’introduzione del monoteismo — di fatto un unico processo — di tutti i segni possibili di violenza.   [⇒]

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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (…4a)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

[⇐]   Data la situazione mondiale contemporanea non possiamo permetterci di chiudere gli occhi di fronte alla domanda se esista una relazione tra il concetto esclusivo di verità del monoteismo e il linguaggio della violenza, e se sia possibile analizzarla (per non dire curarla). Di fatto già Sigmund Freud, nel suo ultimo libro, fece per così dire stendere il monoteismo sul lettino dello psicanalista, sottoponendolo a un lavoro di elaborazione analitico-archeologica dei propri ricordi [3]. Allacciandomi a quel testo, vorrei sottoporre il linguaggio biblico della violenza, con tutto il rispetto e le dovute cautele, a una riflessione non certo teologica quanto piuttosto storico-scientifica. Per farlo mi ricollego a ciò che definisco «semantica culturale», un concetto che ho posto alla base del mio libro ‹Ägypten. Eine Sinnesgeschichte› [sic!] (Egitto. Una storia semantica) [4]. Per «semantica culturale» intendo le grandi narrazioni e le differenziazioni principali con cui una società si orienta nello spazio e nel tempo e che restano impresse nei miti fondatori, nei simboli, nelle immagini e nei testi letterari della propria tradizione. Le semantiche culturali mutano e si sovrappongono: non dobbiamo immaginarle come involucri monolitici e impermeabili. E tuttavia esse determinano in maniera decisiva e per lo più inconsapevole la vita, le azioni, il pensiero, la memoria e i progetti di coloro che vivono all’interno dei loro orizzonti. Anche il monoteismo rappresenta una semantica culturale di questo tipo, un paradigma semantico che si articola in grandi narrazioni e differenziazioni principali.

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NOTE
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[3]. S. Freud, ‹L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti 1930-1938› (1939), in ‹Opere›, Torino, Bollati Boringhieri, 1967-1980, vol. XI.

[4]. J. Assmann, ‹Ägypten. Eine Sinnesgeschichte› [sic!], München, Hanser, 1996.

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ANNOTAZIONI
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In verità, il titolo è ‹Ägypten. Eine Sinngeschichte›.

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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (4…)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

L’attualità della questione è evidente: non il passato come tale infatti, bensì le forme con cui lo ricordiamo sono ciò che ci preoccupa e che orienta il nostro agire. Il ritorno della religione come lo stiamo sperimentando da alcuni decenni è legato in modo inquietante alla violenza, a sensazioni di minaccia, odio e paura, alla creazione di immagini del nemico, e questo non ci permette di eludere la questione del rapporto tra monoteismo e violenza. Purtroppo sono più che consapevole di muovermi su un terreno minato. È dall’età dell’Illuminismo che si rimprovera alla Bibbia e in particolare all’Antico Testamento il linguaggio della violenza. Molti argomenti della critica filosofica alla religione sono passati in eredità agli antisemiti dell’Ottocento e del Novecento e sono stati riproposti in stereotipi antiebraici, come tutti i discorsi sul «Dio vendicativo» veterotestamentario, magari contrapposto al «Dio dell’amore» del Vangelo, al punto tale che oggi questi passi biblici non si possono neppure citare senza essere subito fraintesi. Non è certo mia intenzione rinfocolare tale polemica sterile e stantia; d’altra parte, non si può nemmeno risolvere il problema rappresentato da questi passi facendo di essi un tabù. Il linguaggio della violenza nelle Sacre Scritture degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani e di molte altre religioni fondate su un concetto esclusivo di verità è un fenomeno che va compreso in primo luogo al di là di ogni critica e polemica, e soprattutto considerando, come si è già detto, che il mondo in cui viviamo è funestato da una violenza di dimensioni finora sconosciute e del tutto impreviste, che si richiama esplicitamente a Dio e alle Sacre Scritture.   [⇒]

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (3)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

In questa autorappresentazione narrativa si trova forse anche la chiave del problema che mi appassiona: il monoteismo e il linguaggio della violenza. Per quale motivo i testi biblici descrivono la fondazione e l’affermazione della religione monoteista con immagini tanto brutali? Sull’idea monoteista, che dovrebbe essere esclusivamente adorazione di un unico Dio anziché di una pluralità di dèi, o sulla distinzione tra vera e falsa religione, tra vero e falso Dio, grava forse qualcosa di violento?

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (2)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

La cultura invece obbedisce ad altre leggi, come ha mostrato Aleida Assmann nel suo libro ‹Zeit und Tradition[2]. Qui vale il principio: ‹cultura facit saltus›. È probabile che anche le grandi trasformazioni e svolte culturali siano state preparate da passaggi lenti e impercettibili, e tuttavia esse vengono percepite, rappresentate e ricordate nella memoria culturale come salti. In realtà, anche il monoteismo potrebbe essersi sviluppato gradualmente dal politeismo. Nella rappresentazione biblica, però, esso viene descritto, nella maniera più radicale possibile, come un salto e una cesura rivoluzionari. I quattrocentotrenta anni trascorsi da Israele in Egitto interrompono ogni continuità con l’età patriarcale precedente; la fuga dall’Egitto si configura come un taglio netto con tutte le tradizioni egizie adottate fino a quel momento e la rivelazione della legge sul Sinai come un inizio completamente nuovo e il contrario di uno sviluppo lento e tranquillo: un intervento di Dio nella storia, magnifico e straordinario sotto tutti gli aspetti, che ponendosi di traverso rispetto al lento corso del tempo e intersecando lo sviluppo naturale, crea nuove epoche. Così funziona la cultura sotto il profilo dell’autopercezione e dell’autorappresentazione e soprattutto della propria memoria. ‹Cultura facit saltus›.

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NOTE
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[2]. A. Assmann, ‹Zeit und Tradition. Kulturelle Strategien der Dauer›, Köln - Weimar - Wien, Böhlau, 1999, pp. 47-53.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 2. Non avrai altro Dio (1)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  2.  N o n  a v r a i  a l t r o  D i o  • 

Natura non facit saltus›. Questo credo di Charles Darwin viene attribuito a Leibniz, ma l’idea risale almeno ad Aristotele; per parte sua Mosè Maimonide, il grande filosofo ebreo del XII secolo, la sviluppò in relazione al monoteismo e alla rivelazione [1]. Se vogliamo conoscere gli effetti di Dio nella storia, scrive Maimonide, dobbiamo guardare ai suoi effetti sulla natura. Qui tutto accade in una serie di passaggi successivi. Si va da un estremo all’altro unicamente attraverso una sequenza graduale di trasformazioni e percorsi via via più dettagliati. In maniera analoga, secondo Maimonide, dobbiamo immaginare anche la rivelazione: un processo di metamorfosi successive e di crescita naturale. Evoluzione, non rivoluzione, è il principio della natura: così è anche il principio dell’azione divina.

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NOTE
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[1]. M. Maimonide, ‹La guida dei perplessi›, a cura di M. Zonta, Torino, UTET, 2003, III, cap. 32.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 1. Critica della violenza religiosa (11)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  1.  C r i t i c a  d e l l a  v i o l e n z a  r e l i g i o s a  • 

Se una fenomenologia della violenza religiosa deve muovere dalle forme in cui essa oggi si manifesta (il terrorismo islamico, le violenze indù nei confronti dei luoghi di culto islamici, gli assassini politici come quelli di Sadat e Rabin dai quali la storia potrebbe risalire alle crociate cristiane, ai roghi degli eretici, alle conquiste islamiche ecc.), una genealogia della violenza religiosa si interroga invece sulle origini, e per farlo deve riferirsi all’Antico Testamento. Oggi lo si fa malvolentieri, perché la Bibbia è il testo sacro dell’ebraismo e ogni critica all’immaginario veterotestamentario risveglia l’accusa di antisemitismo. Tutto ciò è privo di senso. L’ebraismo va reso responsabile non delle origini della Bibbia, bensì del suo rapporto con essa. E su questo punto occorre mettere subito in chiaro che, nell’ambito dei rapporti degli ebrei con la Bibbia, prescindendo dalle guerre maccabee e da altri episodi di resistenza ebraica contro antiche forme di sovranità straniera, i testi letterari sulla violenza non vennero mai presentati come violenza storica. Anzi, l’ermeneutica ebraica dischiuse già presto orizzonti interpretativi umanizzanti, attenuando così l’effetto dirompente della semantica.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 1. Critica della violenza religiosa (10)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  1.  C r i t i c a  d e l l a  v i o l e n z a  r e l i g i o s a  • 

Che cos’è dunque la violenza religiosa? A mio avviso si tratta di una violenza che distingue tra amico e nemico in un senso religioso, frutto della distinzione tra vero e falso. La violenza sacrificale distingue tra puro e impuro, dove solo il puro può essere sacrificato, mentre vero e falso non contano. La violenza religiosa si rivolge invece contro i nemici di Dio. Nella seconda parte di questo libro mi propongo di seguire le origini della violenza religiosa, premettendo fin d’ora che tale procedimento è inteso a decostruire il nesso tra religione e violenza con il metodo della ricostruzione genealogica. Considero il legame tra religione e violenza funesto e insensato. Con ciò non propongo di fare un passo indietro per tornare al politeismo come cultura di reciproco riconoscimento e traducibilità, bensì di fare un passo avanti verso una forma di religione che ricorre di continuo a partire dal Settecento, e che oggi più urgentemente che mai si trova all’ordine del giorno.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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Non avrai… • 1. Critica della violenza religiosa (9)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  1.  C r i t i c a  d e l l a  v i o l e n z a  r e l i g i o s a  • 

Nell’ambito della violenza sacrificale il richiamo alla volontà divina, espresso tramite divinazione o oracolo, costituisce un’eccezione, dove la regola è il sacrificio prescritto secondo una routine stabilita. Il senso del sacrificio è la comunicazione: l’offerta votiva è infatti il mezzo preferito per venire a contatto con il mondo divino. Nelle culture della divinazione (per esempio la Mesopotamia, la Grecia e Roma) il sacrificio animale non serviva ad adempiere la volontà divina, bensì a conoscerla. Ma in generale i riti sacrificali servivano a influenzare positivamente o, per dirla con il linguaggio religioso, a cercare una «riconciliazione» con il mondo divino tramite la creazione di un’armonia simbiotica tra il mondo degli dèi e quello degli uomini, tra il cosmo e la società, sulla base di codici comunicativi all’interno dei quali l’uccisione rappresenta una delle unità comunicative più efficaci e importanti. Abbiamo qui a che fare con la violenza in un quadro comunicativo, e non con la violenza come opposto della comunicazione, per cui ci si potrebbe chiedere se si possa addirittura parlare di violenza. L’‹Homo necans› non è un individuo violento, anzi è un sacerdote che per comunicare con l’altro mondo si serve dell’uccisione come di un mezzo prescritto.

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Non avrai… • 1. Critica della violenza religiosa (8)

  •  A s s m a n n  (2 0 0 6)  •  1.  C r i t i c a  d e l l a  v i o l e n z a  r e l i g i o s a  • 

L’ultimo tipo di violenza lo chiamo ‹violenza religiosa›, intendendo con essa ‹la violenza che si richiama alla volontà divina›. La mia tesi è che questa forma di violenza si presenti per la prima volta con il monoteismo. Per spiegarla devo partire da lontano, ritornando dapprima alla violenza sacrificale. Si potrebbe infatti sollevare l’obiezione che la violenza che si richiama alla volontà divina era presente anche nel politeismo, nei casi in cui la violenza sacrificale si appellava alla volontà di un dio: un esempio è quello di Agamennone quando, seguendo il responso dell’oracolo, credette di dover sacrificare la figlia Ifigenia alla dea Artemide per far cessare la bonaccia che impediva alla flotta greca di salpare alla volta di Troia. Ovviamente esistono fasi di transizione e di passaggio. Nelle culture della divinazione la violenza sacrificale venne spesso esercitata per adempiere la volontà divina e allontanare disgrazie vaticinate, il che ci indurrebbe a sostenere che anche in questi casi si uccidesse richiamandosi alla volontà divina. D’altra parte anche alcune scene di violenza che compaiono nella Bibbia si possono leggere come applicazioni della violenza sacrificale per allontanare disgrazie e catastrofi, come per esempio la strage dei tremila a conclusione dell’episodio del vitello d’oro, strage perpetrata al fine di evitare che l’ira di Dio sterminasse l’intero popolo. Ma questi tremila non furono uccisi in maniera rituale, né lo fu Zimri, figlio di Salu, ucciso per mano di Pincas, né i quattrocento sacerdoti di Baal sterminati da Elia. È dunque preferibile non tracciare una divisione troppo netta tra violenza sacrificale e violenza religiosa. Conviene, piuttosto, disporle agli estremi di una scala di transizioni graduali, il cui denominatore comune consiste nella teologia della volontà.

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[]  J.  A s s m a n n,  ‹N o n  a v r a i  a l t r o  d i o›  (2 0 0 6),  i l  M u l i n o,  2 0 0 7.
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