Se una fenomenologia della violenza religiosa deve muovere dalle forme in cui essa oggi si manifesta (il terrorismo islamico, le violenze indù nei confronti dei luoghi di culto islamici, gli assassini politici come quelli di Sadat e Rabin dai quali la storia potrebbe risalire alle crociate cristiane, ai roghi degli eretici, alle conquiste islamiche ecc.), una genealogia della violenza religiosa si interroga invece sulle origini, e per farlo deve riferirsi all’Antico Testamento. Oggi lo si fa malvolentieri, perché la Bibbia è il testo sacro dell’ebraismo e ogni critica all’immaginario veterotestamentario risveglia l’accusa di antisemitismo. Tutto ciò è privo di senso. L’ebraismo va reso responsabile non delle origini della Bibbia, bensì del suo rapporto con essa. E su questo punto occorre mettere subito in chiaro che, nell’ambito dei rapporti degli ebrei con la Bibbia, prescindendo dalle guerre maccabee e da altri episodi di resistenza ebraica contro antiche forme di sovranità straniera, i testi letterari sulla violenza non vennero mai presentati come violenza storica. Anzi, l’ermeneutica ebraica dischiuse già presto orizzonti interpretativi umanizzanti, attenuando così l’effetto dirompente della semantica.
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[] J. A s s m a n n, ‹N o n a v r a i a l t r o d i o› (2 0 0 6), i l M u l i n o, 2 0 0 7.
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