Fra i molti incontri e colloqui che alimentano queste osservazioni mi sembra valga la pena riportare qui almeno un frammento di un’intervista allo studioso francese Jean Clottes, autore, fra i più acclamati, di una trentina di libri sull’arte preistorica. L’uscita del suo corposo ‹Cave art› (2008), ricchissimo di immagini e di spunti, è stata per me l’occasione per incontrarlo. Alla domanda su come sia cambiato nel tempo il modo di pensare la nascita dell’arte, Clottes ha risposto che alla fine del XIX secolo gli studiosi non pensavano che ci fosse arte nelle epoche più antiche. Perché gli uomini del Paleolitico erano considerati in tutto ‘primitivi’. Poi, nel XX secolo, anche grazie a importanti ritrovamenti, si è cominciato a pensare che l’arte avesse avuto un’evoluzione graduale, dai primi rozzi inizi 30-35.000 anni fa fino alle superbe raffigurazioni di Lascaux, dove si trova un tesoro di circa 600 pitture risalenti a circa 18.000 anni fa, rinvenuto nel 1940 da quattro ragazzi vicino a Montignac. «Con la scoperta delle magnifiche pitture della grotta Chauvet ci siamo resi conto che già allora la sensibilità artistica dei nostri antenati era perfettamente sviluppata. Così il paradigma è cambiato: l’arte non si è sviluppata gradualmente, si è detto, ma ci sono sempre stati alti e bassi, a seconda dei tempi e dei luoghi», fa notare l’archeologo francese. [⇒]
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[] S. M a g g i o r e l l i, ‹A t t a c c o a l l’ a r t e›, L’ A s i n o d’ o r o, 2 0 1 7.
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