Nel 1660, per esempio, l’esploratore Ruben de la Vialle, con alcuni amici, si avventurò in una grotta profonda nei dintorni di Tarascon, in Francia, riuscendo ad arrivare per la prima volta al Salon noir (come viene chiamato oggi). La Vialle [8] scoprì la grotta di Niaux ma — potremmo dire — non se ne accorse, limitandosi a scrivere il proprio nome e la data sulla parete, a meno di un metro di distanza da immaginifiche rappresentazioni di animali, senza minimamente interessarsi a quei graffiti risalenti al Paleolitico superiore. La sua seicentesca concezione del mondo, intrisa di ideologia religiosa, non ne poteva ammettere l’esistenza. Così guardò i graffiti ma non li vide: non suscitarono il suo interesse, non si fece domande, non avvertì l’esigenza di avviare una ricerca.
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NOTE
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[8]. D. Lewis-Williams, ‹The mind in the cave›, Thames & Hudson, London 2002, p. 15.
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[] S. M a g g i o r e l l i, ‹A t t a c c o a l l’ a r t e›, L’ A s i n o d’ o r o, 2 0 1 7.
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