• Possiamo immaginare, come lei ha suggerito in alcuni suoi scritti, che le donne siano state le prime artiste della storia, magari disegnando esseri umani in forme essenziali, fatte di pochi segni, quasi soltanto linea, alla Picasso?
Viene da pensare che le donne nella preistoria passassero molto tempo dentro la caverna. L’immagine della donna cacciatrice non la vedo proprio. Erano addette a fare figli, ad allattarli e a crescerli. Dunque come nasce l’arte? Da questa fantomatica ‘cosa’ che non si conosce come e quale sia, alla scultura di ‹Naledi› che sembra essere la più antica, c’è un processo mentale. Da Prometeo — che invece di scappare si avvicina al fuoco, lo prende, e lo porta dentro la caverna per scaldarsi — a quello che ne è seguito, c’è un fatto mentale. Ci sarà stato un genio, maschio o femmina che sia, che ha avuto un’idea nuova. L’uomo non aveva il tempo e il modo né l’intenzione, di fare queste cose inutili, di dedicarsi all’arte che è ‘inutile’, quando era addetto alla sopravvivenza, sia come difesa dalle belve e dai nemici, sia come necessità di procurare alimenti. Mi pare chiaro che la donna incinta o che aveva partorito e allattava non poteva andare a cercare gli alimenti o, quando serviva, la carne. Il passaggio è quello di cui ha scritto Claude Lévi-Strauss: avvenne quando cominciarono a cuocere la carne. Per farlo, ovviamente, occorre il rapporto con il fuoco, non avere più paura come gli animali, sapere con l’intelligenza che bisogna avvicinarsi quanto basta per cuocere, per portarlo alla caverna. Lì c’è l’altra idea geniale, arrostire la carne, diversamente dagli animali. Fu un’idea della donna? Dell’uomo? Comunque sia andata ci sono indizi che testimoniano questo passaggio: la mascella dell’uomo più antico era molto grossa, prognata, come se fosse adatta a mangiare la carne cruda, come gli animali. Occorreva la forza della mandibola. Ma qui torna la domanda: come nasce l’arte? È un gioco complicatissimo. ‹Naledi›, che scheggia le pietre, è semplice. Ma fare i colori, portarli dentro la caverna e fare la pittura rupestre non lo è. Ai limiti, in quello scheggiare la pietra da parte del ‹Naledi› non c’è l’immagine, c’è il discorso di fare una cosa appuntita. Gli sarà bastato pensare che spaccare la testa a un’antilope era più facile con un sasso che con un bastone per mettersi a scheggiare la pietra; è un discorso razionale. Nelle pitture rupestri, invece, c’è una inutilità totale, è l’esigenza di un’espressione.
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[] S. M a g g i o r e l l i, ‹A t t a c c o a l l’ a r t e›, L’ A s i n o d’ o r o, 2 0 1 7.
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