Attacco all’arte… • Introduzione (…17a)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

[⇐]   Il senso della ricerca di Massimo Fagioli, le sue rivoluzionarie scoperte, invitano a rileggere la storia dell’arte in modo nuovo, offrendo al critico d’arte parole preziosissime come idea-immagine (‹Vorstellung›), memoria-fantasia, ricreazione, e distinzioni illuminanti, come quella tra capacità di immaginare che compare alla nascita, e fantasia che implica il movimento del corpo, tra immagine e figura cosciente, tra ricordo cosciente e memoria, tra fantasia e fantasticheria, tra genialità e creatività… e molto altro… parole che qui enunciamo soltanto, come una cascata di diamanti su questo tavolo di riflessione sul quale vorremmo presto tornare in modo più approfondito. Ci limitiamo solo ad accennare al fatto che il metodo interpretativo di Fagioli, che è alla base della sua prassi terapeutica, ci invita a guardare con sguardo nuovo ai processi creativi e al fare artistico fin dalle sue prime manifestazioni. In quella dialettica fra irrazionale e razionale che sempre ritorna per quello scacco cui sempre si è andati incontro quando il ‹logos›, la dimensione dell’utile e del calcolabile legata troppo spesso all’universo maschile, ha preso il sopravvento sulla creatività e sulla fantasia, sulla possibilità di libera espressione totalmente altra rispetto all’alienazione dell’irrazionale che si esprime nella religiosità e nel sacro.

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Attacco all’arte… • Introduzione (17…)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Quando parliamo di ricerca sulle immagini, ovviamente non ci riferiamo solo all’arte figurativa. Anche un quadro astratto esprime un’immagine latente, un contenuto ‘emotivo’, un senso profondo. La critica d’arte deve saper cogliere quest’immagine invisibile e trovare parole che non siano pietre. Nel caso dell’arte del Paleolitico, come abbiamo già accennato, le prime parole degli ‘esperti’ furono addirittura macigni, tranciando giudizi che volevano essere tombali. «La dimensione che uccide l’artista è, più che l’invidia, la critica d’arte che non dice quello che dovrebbe dire. È l’annullamento, il dichiarare non esistente quello che invece è assolutamente esistente…», ha detto Massimo Fagioli a Nizza nel 1985 in un intervento riportato su “Il sogno della farfalla” del luglio 2016 dal titolo ‹Artista e identità sociale› che ci ha fatto scoprire anche il precedente intervento di Fagioli a Bologna, nel 1981, sulla realtà umana dell’artista e dell’opera d’arte [5].   [⇒]

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NOTE
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[5]. M. Fagioli, ‹Bologna 1980. Realtà umana dell’artista e opera d’arte›, in “Il sogno della farfalla”, 4, 2001, pp. 5-11.

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Attacco all’arte… • Introduzione (16)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Accanto alla bizzarria, alla ricerca dello choc fine a stesso, prolifica un’arte concettuale autoreferenziale e religiosa nel celebrare il vuoto «originario» e l’assenza di qualunque dimensione psichica e di rapporto umano. Le artistar di oggi sembrano aver rinunciato alla critica dell’esistente, a quella ribellione alla norma che nasce da una dimensione di fantasia interna e fa parte dell’identità dell’artista. Per quanto siano vissuti in epoche lontane dalla nostra, e abbiano lavorato in contesti culturali differenti, nell’ambito di estetiche che non ci appartengono più e con poetiche personalissime, i grandi artisti continuano a parlarci attraverso opere che comunicano non solo per quel che rappresentano in modo manifesto ma soprattutto con quel contenuto latente, invisibile e affascinante che si può cogliere in filigrana dall’uso del colore, dal modo in cui una determinata iconografia è reinterpretata, dall’invenzione di immagine, dalla composizione…

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Attacco all’arte… • Introduzione (14-15)

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Gli effetti negativi di questo luogo comune si vedono ancora nella crisi creativa dell’arte contemporanea oggi più di moda. Dietro, come diciamo nel quarto capitolo, c’è una complessa costellazione che annovera la Bibbia, Freud, l’esistenzialismo e Heidegger sdoganato a sinistra da Foucault [4].

Con un pizzico di provocazione, ci sentiamo di affermare che nell’attuale sistema globalizzato e omologato dell’arte non c’è più traccia di ricerca sulle immagini. È stata completamente sfrattata. Mentre con passione e ostinazione continuiamo a perlustrare luoghi underground, cercando di scoprire dove la ricerca si è rifugiata, registriamo che, da molti anni ormai, nei maggiori musei — dal New Museum di New York alla Tate di Londra e così via — a dominare è una figurazione iper-realistica e violenta nello spacciare per verità umana una visione schizoide e anaffettiva.

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NOTE
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[4]. In un’intervista uscita postuma su “Les Nouvelles littéraires” il 28 giugno 1984, M. Foucault afferma: «Heidegger è sempre stato per me il filosofo fondamentale. L’intera mia evoluzione filosofica è stata determinata dalla mia lettura di Heidegger».

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Attacco all’arte… • Introduzione (13)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Non distinguendo la creatività della fantasia dalla distruttività della malattia mentale, caddero in questa trappola autodistruttiva non solo i futuristi guerrafondai ma anche i surrealisti, che volevano mettere insieme Marx e Freud (non accorgendosi della feroce contraddizione) approdando a un automatismo dissociato e a una ‘iconoclastia’ sempre più fine a se stessa. Se nel 1917 Duchamp riduceva l’arte a ‘cosa’ con il suo ‹Orinatoio›, sul versante opposto e complementare, Malevič, nel 1915, era andato alla ricerca dell’«origine dell’essere» con il ‹Quadrato nero›. «Così il percorso dell’arte invece che al pensiero giungeva alla soglia di un territorio sacrale», nota lo psichiatra Domenico Fargnoli. Su questa linea poi si sarebbero mosse «la Transvanguardia, l’arte concettuale, la Minimal art, l’Op art, il New dada. Negli innumerevoli canali in cui, dagli anni Settanta e Ottanta, si è diretta l’attività degli artisti sembra caratterizzarsi per assenza di vitalità, piattezza e astrazione formale» [3].

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NOTE
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[3]. D. Fargnoli, ‹La danza del drago giallo›, Titivillus, Pisa 2003, pp. 72-73.

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Attacco all’arte… • Introduzione (11-12)

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Per cui secondo Karl Jaspers, il geniale e del tutto irrazionale uso del colore di Vincent van Gogh sarebbe frutto dell’insorgere di un processo psicotico, «come la perla nasce da un difetto della conchiglia». Lo stesso Paul Klee scriveva nei suoi ‹Diari› che i disegni dei bambini, le espressioni sintomatiche di un malato di mente e i propri quadri erano la medesima cosa. Offrendo così sponda ai nazisti che in modo violento e delirante bollarono come degenerata la sua arte e quella di molti altri artisti delle avanguardie storiche, per poi mandarli nei lager.

Nel terzo capitolo si rintraccia la genesi del termine ‘degenerazione’ che, mutuato da Max Nordau, i nazisti fecero proprio: un concetto risalente alla Bibbia e che tragicamente si rivelò utile alla disumana logica dello sterminio.

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Attacco all’arte… • Introduzione (10)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Un nesso fuorviante e privo di fondamento scientifico unisce, in modo ossimorico, creatività e pazzia. Su questo tema che attraversa trasversalmente pressoché tutto il libro ho avuto occasione di lavorare a più riprese, collaborando al libro dello psichiatra Domenico Fargnoli ‹Arte senza memoria› (2007) [1], scrivendo articoli e partecipando ai convegni su ‹Psiche e Arte› organizzati dall’associazione Ipazia immaginepensiero onlus dal 2011. Esperienze che hanno stimolato le riflessioni sviluppate in questo libro. Molto importanti sono stati i corsi che il professor Massimo Fagioli ha tenuto per anni all’Università di Chieti. In alcune lezioni del 2009, in particolare, tematizzava la differenza tra fantasticheria e fantasia e quella fondamentale tra follia e pazzia, parlando della follia di Cristoforo Colombo: «Nonostante si dicesse che la Terra era piatta e che dopo una certa distanza di centinaia di chilometri ci stava l’abisso e si precipitava, lui decise lo stesso di navigare perché era convinto che invece avrebbe trovato altra terra, sarebbe arrivato nelle Indie. Così fece la follia di navigare per più di due mesi, da agosto a ottobre del 1492, e scoprì un nuovo continente. Be’, questa follia non mi pare che si possa paragonare a quanto è accaduto circa un mese fa in Alabama, dove sono state ammazzate dieci persone» [2]. Altre volte aveva detto che nell’antica Grecia la follia era quella della Pizia, sacerdotessa di Delfi, e di figure femminili oracolari. Dire, invece, che quella mania, quell’invasamento, era pazzia fu un’arma potente contro le donne. Le donne sono irrazionali, dunque pazze, nella visione misogina del Greci. Per i cristiani sono streghe, indemoniate, da mandare al rogo. La confusione tra follia e pazzia porta a dire che tutto ciò che non è ragione è malattia; «fa l’artista pazzo».

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NOTE
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[1]. S. Maggiorelli, ‹Dialogo sull’arte, intervista allo psichiatra Domenico Fargnoli›, in D. Fargnoli, ‹Arte senza memoria›, Carlo Cambi editore, Siena 2007.

[2]. M. Fagioli, ‹Religione ragione e LIBERTÀ. Lezioni 2009›, L’Asino d’oro edizioni, Roma 2014, pp. 59-60.

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Attacco all’arte… • Introduzione (9)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Una dimensione creativa connota tutta la storia di ‹Homo sapiens›, ma religiosi e positivisti fecero di tutto per negarlo, arrivando perfino ad accusare gli scopritori della sala dei bisonti (ammirata da Picasso) di aver ordito una truffa con la complicità di moderni pittori. Che uomini dell’Ottocento fossero accecati da ideologie, all’epoca molto diffuse, non stupisce più di tanto. Colpisce di più che uno studioso come Jean Clottes, fra i maggiori esperti di ‘Cave art’, attualmente, continui a leggere le raffinate rappresentazioni di Chauvet come trascrizione di allucinazioni legate a pratiche sciamaniche, negando la fantasia degli artisti del Paleolitico.

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Attacco all’arte… • Introduzione (7-8)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Da quel filo di ricerca nasce anche la struttura di ‹Attacco all’arte›, composto da quattro varianti sul tema dell’attacco all’arte; quattro capitoli in cui sono indagati differenti fenomeni che si sono sviluppati in epoche lontane tra loro, con nessi che il lettore forse potrà trovare arditi, ma che spero suscitino curiosità e accendano la discussione.

A cominciare dal primo capitolo dedicato alla bellezza negata delle pitture rupestri del Paleolitico. Il nostro viaggio, infatti, prende avvio dalle grotte di Altamira. Con l’aiuto di paleontologi, antropologi e archeologi ho ripercorso gli albori della storia dell’arte, nata grazie alla fantasia delle donne secondo l’affascinante ipotesi di Massimo Fagioli. L’autore della teoria della nascita e psichiatra dell’Analisi collettiva, a conclusione dello sfoglio, offre un fondamentale contributo interpretativo e di approfondimento sul linguaggio delle immagini e sulla nascita dell’arte come momento fondante e antropologicamente costitutivo dell’identità umana.

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Attacco all’arte… • Introduzione (6)

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Mutatis mutandis› accade anche nel Belpaese dove politici cresciuti negli anni Ottanta e convertiti alle logiche del neoliberismo hanno attaccato e distrutto una tradizione di tutela che nasceva molto prima dell’Unità d’Italia e che affonda le radici nella tradizione comunale del XIII secolo e, prima ancora, nell’idea romana di ‹publica utilitas›. Il patrimonio storico-artistico, nelle politiche di governo italiane degli ultimi quarant’anni, più che un bene comune da studiare e tramandare, sembra essere un peso oneroso di cui disfarsi, da mettere all’incanto, per fare un po’ di cassa, nell’immediato. Nel terzo capitolo si ripercorre l’attacco ai beni culturali in Italia dall’epoca di Craxi e De Michelis, dal governo Berlusconi al governo Renzi e oltre: senza soluzione di continuità è stata smantellata la rete dei presidi di tutela, si sono umiliate le competenze archeologiche e storico-artistiche favorendo la deregulation, il consumo di suolo, l’abusivismo e il malaffare. Invertendo completamente la rotta rispetto ai valori della Carta costituzionale nata dalla Resistenza. La ricostruzione qui proposta fa tesoro dell’autorevole denuncia avanzata nei loro libri e interventi giornalistici dagli storici dell’arte Salvatore Settis e Tomaso Montanari. Anche grazie alle molte occasioni di incontro e di confronto che generosamente mi hanno offerto nel tempo è nato questo mio volume, cresciuto in anni di lavoro giornalistico (richiamati brevemente attraverso una scelta di interviste in bibliografia); più di vent’anni di lavoro per testate diverse fra loro, durante i quali ho sempre cercato di mantenere un filo con la ricerca che riguarda il linguaggio delle immagini e la critica.

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Attacco all’arte… • Introduzione (4-5)

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Nel secondo capitolo di ‹Attacco all’arte› siamo andati alla ricerca delle radici di questa violenza omicida in nome di Dio, indagando la particolare forma di iconoclastia che vi è strettamente connessa, con l’aiuto di esperti fra i quali la bizantinista Silvia Ronchey, l’archeologo scopritore di Ebla Paolo Matthiae e il poeta siriano Adonis che leggono questo fenomeno in parallelo con l’iconoclastia cristiana e la condanna delle immagini che unisce tutti e tre i monoteismi.

Ma una strisciante e silenziosa forma di iconoclastia, senza trapani e picconi, sembra dilagare anche nel ricco Occidente, dove il mainstream del contemporaneo è imposto da pochi plurimiliardari tycoon che hanno fatto dell’arte uno strumento pubblicitario, declinato in gigantesche installazioni kitsch e immagini piatte, svuotate di ogni contenuto. Per l’‹homo oeconomicus› del tardo capitalismo l’arte è una merce come un’altra, un mezzo di speculazione e giochi finanziari. Non accade solo a New York, a Londra o a Shanghai.

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Attacco all’arte… • Introduzione (2-3)

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Religione e ragione sembrano essere sempre andate perfettamente all’unisono nel condannare la realtà umana non cosciente, la capacità di immaginare che si esprime nei sogni (mandati dagli dèi secondo i Greci, dal diavolo secondo Agostino), nel denigrare o cercare di controllare la fantasia degli artisti che parlano attraverso un linguaggio non razionale, di forme e colori.

Ancora oggi, nel nuovo millennio, lo dimostrano palesemente gli attacchi dell’Isis al patrimonio storico-artistico preislamico del Medio Oriente, messi in atto lucidamente dai fondamentalisti wahhabiti per sterminare gli infedeli e cancellarne la storia e ogni traccia di esistenza, come facevano i nazisti con gli ebrei.

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Attacco all’arte… • Introduzione (1)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o  a l l’ a r t e  •  I n t r o d u z i o n e  •

Il linguaggio silenzioso delle immagini è sempre stato guardato con sospetto nella storia occidentale. E in ogni caso considerato inferiore, rispetto a quello cosciente e articolato che si esprime attraverso la ‹phonè›. Nonostante secoli di pittura e di scultura, nonostante tanti artisti geniali, il linguaggio per antonomasia è sempre stato quello verbale o, al più, la scrittura. Così affermano la storia della filosofia e i tre monoteismi. Tanto che, in epoche diverse, il linguaggio delle immagini è stato ripetutamente attaccato per motivi ideologici e religiosi. Ne è stato negato il valore umano universale; è accaduto fin dalla nascita del ‹logos› che con Senofane ostracizzava le figure della mitologia e con Platone condannava la pittura come falsificante calco del vero.

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[]  S.  M a g g i o r e l l i,  ‹A t t a c c o  a l l’ a r t e›,  L’ A s i n o  d’ o r o,  2 0 1 7.
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Attacco all’arte… • Prefazione (9-10)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o …  •  P r e f a z i o n e  (d i  M o n t a n a r i)  •

Come ha scritto Michael Walzer, «il successo così come viene misurato dal mondo non è il metro adatto a valutare la critica sociale. Il critico si misura dalle tracce che recano coloro che lo ascoltano e leggono le sue opere, dai conflitti che egli li costringe a sperimentare, non solo nel presente, ma anche nel futuro, e nei ricordi che quei conflitti lasciano. Egli non riscuote successo convincendo la gente — poiché a volte è semplicemente impossibile — quanto mantenendo viva la discussione critica».

È esattamente quello che fanno le pagine che state per leggere.

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Attacco all’arte… • Prefazione (7-8)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o …  •  P r e f a z i o n e  (d i  M o n t a n a r i)  •

Anche oggi i persecutori dell’arte sono i vincitori: in Occidente il nemico mortale dell’arte d’oggi e del patrimonio culturale è la dittatura materiale e intellettuale del mercato. E, come le prossime pagine mostrano assai bene, forti legami di interesse e profonde analogie uniscono questa dittatura a quella del terrore che si espande nel Medio Oriente.

Mai, dunque, come in questo momento è essenziale, direi vitale, che i cittadini italiani possano trovare in libreria testi come questo: strumenti di autonomia intellettuale che si insinuano nell’ingessatissimo discorso pubblico e nella grigia produzione editoriale corrente come altrettante schegge di dubbio.

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Attacco all’arte… • Prefazione (6)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o …  •  P r e f a z i o n e  (d i  M o n t a n a r i)  •

Li ha sempre avuti, e leggendo alcune pagine di Simona ho ripensato a un brano celeberrimo del testo rifondativo della letteratura artistica occidentale, i ‹Commentari› che Lorenzo Ghiberti scrisse intorno al 1450: «Adunque al tempo di Costantino imperatore e di Silvestro papa sormontò su la fede cristiana. Ebbe la idolatria grandissima persecuzione, in modo tale che tutte le statue e le pitture furono disfatte e lacerate di tanta nobiltà ed antica e perfetta dignità, e così si consumaron, colle statue e pitture, volumi e commentarii e lineamenti e regole (che) davano ammaestramento a tanta ed egregia e gentile arte». Dove colpisce la laica complessità di un intellettuale già moderno, che ribaltando l’ovvia prospettiva storica, vede i cristiani come i persecutori inesorabili dell’arte classica. Sarà proprio la tragica consapevolezza della scomparsa dell’arte e della civiltà antiche a inserire nel nucleo profondo della coscienza storica dell’arte italiana l’imperativo della conservazione. Parafrasando una preghiera della liturgia cattolica del venerdì santo, si può dire che la distruzione dell’antico ha messo una così profonda nostalgia nel cuore della coscienza culturale italiana, che essa ha pace solo salvando, o provando a salvare, il passato.

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Attacco all’arte… • Prefazione (4-5)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o …  •  P r e f a z i o n e  (d i  M o n t a n a r i)  •

E così le pagine di questo libro sono un antidoto efficace al veleno dell’interessato disimpegno imperante. Una risposta eloquente a chi continua a pensare che l’arte serva a evadere dalla realtà, a non pensare, a evitare il conflitto.

Dopo averlo letto, ne ho inserito il pdf in una cartella del mio pc che riguarda «I veri nemici della cultura». È il titolo che il giornale cui collaboro ha dato a un mio editoriale sulla vicenda dell’assemblea dei lavoratori del Colosseo indegnamente strumentalizzata dal governo Renzi (non per caso se ne parla anche in questo libro): raramente un autore si ritrova nei titoli imposti ai suoi pezzi, ma in quel caso la corrispondenza era perfetta. Un peloso conformismo tende a sostituire alla parola ‘nemici’ un ricco florilegio di ipocrisie. Ma le pagine che seguono dimostrano che l’arte ha i suoi nemici, spesso mortali.

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Attacco all’arte… • Prefazione (1-3)

  •  M a g g i o r e l l i  (2 0 1 7)  •  A t t a c c o …  •  P r e f a z i o n e  (d i  M o n t a n a r i)  •

Simona Maggiorelli è una figura non comune nel panorama del giornalismo italiano.

È, infatti, decisamente raro che la competenza e l’interesse in fatto di storia dell’arte e patrimonio culturale si uniscano a uno sguardo radicalmente critico: assai più spesso essi sono, invece, messi al servizio della promozione, del marketing, della rete di relazioni e di interessi che cementano il piccolo circo mediatico-politico della ‘bellezza’.

E invece lo sguardo di Simona Maggiorelli si posa sulle crepe, sulle sconnessioni, sulle slabbrature di un sistema largamente compromesso, a tratti irreversibilmente marcio.

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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (7)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Ma non vorrei indulgere anch’io al vezzo di far di Copernico il “precursore” di qualcuno o di qualcosa. L’esempio ch’egli ci ha lasciato va oltre il campo della pura metodologia e concerne un ideale di vita che non è legato soltanto al suo tempo. Il coraggio intellettuale di andare contro corrente e il senso di responsabilità nel controllo rigoroso delle proprie teorie: ecco due valori perennemente vivi anche dopo cinquecent’anni. Guardare ad essi è importante, anche se non ci occupiamo di astronomia e non facciamo di professione gli scienziati: serve per non abbandonarsi pigramente ai “si dice” e non scambiare sconsideratamente per sapere oggettivo i sogni dell’utopia». Dopo più di quattro anni, mentre si è talvolta indotti a dubitare della saggezza dell’«uomo copernicano» che è nato dalla rivoluzione omonima, mi sembra ancora sempre più esemplare l’esempio di vita e di lavoro offertoci da chi a quella rivoluzione diede il nome.
Francesco Barone
Viareggio, 17 luglio 1977

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (6)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Al termine di questa rassegna di temi copernicani, mi sia concesso riportare la pagina con cui conclusi nel febbraio del 1973, a Milano, il discorso in occasione del quinto centenario della nascita dell’astronomo [160]. «Innovazione teorica geniale e rigoroso controllo empirico di essa: questa è la lezione di metodo che viene dalla vita di Copernico e dall’esame diretto della sua opera. È la stessa lezione che viene da tutta la scienza moderna, indipendentemente dal fatto che essa si rifaccia esplicitamente o meno al modello copernicano. Questo, credo, è ciò che non deve essere dimenticato nemmeno dopo mezzo millennio. Quale sia stata la funzione effettiva di Copernico nell’attuarsi della rivoluzione copernicana; per quanto evanescente possa essere l’insieme dei risultati scientifici ottenuti da Copernico, che sono ancor oggi validi: rimane per sempre l’esempio di un modo di far scienza che non è stato né superato né abbandonato. E ciò è tanto più meritevole di riflessione oggi, allorché la metodologia scientifica contemporanea, abbandonati pregiudizi empiristici e positivistici, insiste sul fatto che il controllo empirico delle teorie scientifiche non implica affatto che esse traggano origine induttivamente solo dall’accumulo dei dati osservativi e sperimentali.

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NOTE
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[160]. ‹Niccolò Copernico 1473-1973› cit., p. 31.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (…5a)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

[⇐]   In modo analogo si possono citare le osservazioni fatte in Warmia negli anni 1515-16, che furono di lavoro intenso circa il moto apparente del sole, o quelle assai tarde del 1537-38, dedicate esclusivamente ai pianeti, che erano al centro delle sue considerazioni in quel periodo [159]. Ed un uso simile, del resto, egli fece anche delle osservazioni registrate dagli antichi: si trattava pur sempre di mostrare che proprio dal punto di vista dell’astronomia più tecnica il lavoro compiuto sulla base della nuova ipotesi cosmologica era superiore o almeno eguale al modello, che la tradizione considerava paradigmatico, dell’‹Almagesto› di Tolomeo. Non ha molto senso pesare con il bilancino i punti in cui il lavoro riuscì superiore, pari o anche inferiore al suo modello: pur senza nulla perdere sul piano tecnico, esso era decisamente nuovo nella sua portata metodologica e scientifica. Ed è bella, anche se non vera, la leggenda della tradizione che vuole che una copia del ‹De Revolutionibus›, finita di stampare da Giovanni Petreio a Norimberga nella primavera del 1543, sia giunta a Frombork il 24 maggio, sì da poter ancora essere vista dall’autore, che spirò nello stesso giorno: la favola allude, in questo caso, al coronamento di una vita che, come poche, è improntata all’unità di un programma rivoluzionario svolto con minuziosa e quasi pedante continuità e costanza.

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NOTE
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[159]. Cfr. L.A. Birkenmajer, ‹Mikołai Kopernik› cit., I, pp. 317-9: si veda anche A. Birkenmajer, ‹Études› cit., p. 608. Sulle osservazioni di Copernico cfr. anche Noel Swerdlow, ‹On Copernicus’ Theory of Precession›, in ‹The Copernican Achievement› cit., pp. 49-98 e Owen Gingerich, ‹Remarks on Copernicus’ Observations›, 𝑖𝑏𝑖𝑑., pp. 99-107.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (5…)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Per costringere i dotti all’assenso egli deve tuttavia mostrare che la sua teoria resiste ai tentativi di «falsificazione» anche quando si prendano in considerazione molti dati osservativi. Ed è questo il lavoro a cui egli si dedica nei lunghi anni della maturità, quando deve alternare le sue indagini astronomiche con i non lievi incarichi pratici affidatigli dal capitolo di Warmia: sia che si tratti dell’amministrazione dei beni capitolari, o dell’organizzazione della difesa contro le scorrerie e gli attacchi del Cavalieri Teutonici, o degli studi sulla moneta a cui egli attende per trovare una soluzione alla galoppante inflazione. Così si spiega la lenta elaborazione del ‹De Revolutionibus›, l’esame ripetuto e che mai egli avrebbe voluto interrompere dei problemi particolari. La ricostruzione della «storia» del manoscritto, fatta negli anni più recenti, ci è utile anche per rispondere alla questione, che abbiamo già visto tanto dibattuta, delle qualità di Copernico come astronomo osservatore. Le sue osservazioni non sono state moltissime ma nemmeno troppo poche; la cosa più significativa è che esse, per dirla con linguaggio moderno, sono state «programmate»: furono sempre suggerite da un problema teorico e destinate a controllarne la soluzione, come già s’è visto per il problema della luna, che tanto interessava Copernico durante il suo soggiorno in Italia [158].   [⇒]

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NOTE
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[158]. Oltre alla già menzionata osservazione del 9 marzo 1497, nel ‹De Revolutionibus› (libro IV, cap. 14) Copernico ricorda anche l’osservazione dell’eclissi di luna da lui compiuta a Roma nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1500. Cfr. B. Biliński, ‹Tradizioni dell’astronomia polacca a Roma› cit., pp. 37-55.

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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (4)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Così è già indicato nell’opera minore il motivo del passaggio all’opera maggiore. Egli sentiva che la realizzazione del suo programma originario, la risposta soddisfacente al suo problema di sintesi dell’orientamento dei ‹mathematici› e di quello dei ‹naturales›, poteva essere raggiunta soltanto se egli avesse sviluppato minutamente e analiticamente tutte le conseguenze della nuova ipotesi cosmologica per poterle confrontare con i dati dell’osservazione. Può essere questa una delle ragioni, se non la più importante, per cui egli non pubblica il ‹Commentariolus› e lascia che ne circolino soltanto delle copie manoscritte. Il motivo del riserbo non è forse tanto il timore di suscitare spiacevoli reazioni negli ambienti religiosi, dal momento che l’eliostaticismo pareva negato da alcuni passi delle Sacre Scritture: prima delle tensioni provocate dalla Riforma e successivamente dalla Controriforma non era poi troppo eterodosso interpretare in senso metaforico i passi delle Scritture attinenti a questioni scientifiche [156]. È più probabile che il riserbo stesso — che durò del resto fin quasi alla fine della vita e fu vinto solo quando, ormai vecchio, si incontrò con il giovanile entusiasmo del Retico [157] — fosse dovuto a un senso di responsabilità intellettuale. Come risulta anche dalla lettera a Paolo III premessa al ‹De Revolutionibus›, Copernico vuole evitare che il suo sistema sia scambiato per una pura ipotesi matematica o, peggio ancora, per una fantasticheria inconsistente che origini discussioni a non finire tra gli incompetenti o, addirittura, l’irrisione del volgo che vede scossi i suoi luoghi comuni e le sue presunte certezze sensibili.

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NOTE
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[156]. Ad esempio, vi sono passi della ‹Summa totius theologiae› (q. 68, a. 3c.) di Tommaso d’Aquino in cui si interpretano metaforicamente brani della Scrittura di rilevanza fisica discordanti dalle dottrine aristoteliche (cioè, nella prospettiva d’allora, «scientifiche»). Cfr. T. Kuhn, ‹The Copernican Revolution› cit., pp. 140-2. Copernico stesso, del resto, nella lettera di dedica a Paolo III del ‹De Revolutionibus› (cit., p. 5, r. 36-38) non ha alcun timore, pur rivolgendosi al papa, di considerare ridicola la negazione fatta da Lattanzio della sfericità della Terra, nonostante gli riconosca meritata fama di scrittore su questioni religiose.

[157]. Cfr., più oltre, le introduzioni alla traduzione del ‹De Revolutionibus› e della ‹Narratio Prima›.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (3)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Nel complesso, tuttavia, l’esposizione del ‹Commentariolus› è più qualitativa che quantitativa. Dopo aver enunciato le sette ‹petitiones›, Copernico afferma che il suo programma è di mostrare brevemente come mediante esse si possa metodicamente salvare l’uniformità dei moti; solo per ragioni di brevità ha tralasciato qui «le dimostrazioni matematiche destinate a un volume più ampio» [154]. Nondimeno, Copernico tiene a fare rilevare immediatamente che i suoi intenti non sono puramente speculativi, ma tengono presente l’esigenza di un controllo rigoroso mediante il calcolo: «Tuttavia, nella spiegazione dei circoli, esporremo qui la misura dei raggi delle sfere, dalle quali chi non sia del tutto digiuno di matematica capirà facilmente quanto tale sistema di circoli corrisponda sia ai dati numerici dei calcoli sia alle osservazioni» [155]. E proprio a questo punto egli ritiene opportuno introdurre la già ricordata differenziazione di sé rispetto ai Pitagorici.

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NOTE
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[153]. ‹Erster Entwurf› cit., p. 10.

[154]. 𝐼𝑏𝑖𝑑., p. 11.

[155]. 𝐼𝑏𝑖𝑑.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (2)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Ciò che più è importante, tuttavia, non è tanto l’anticipo di uno o più anni nella composizione, quanto la forza innovativa dell’operetta. Essa si coglie già nello strumento geometrico di cui si vale, poiché Copernico non si serve di un modello eccentrepiciclico, come poi farà nel ‹De Revolutionibus› che segue più fedelmente nella struttura esteriore l’‹Almagesto›, bensì di un modello concentrobiepiciclico. Ma l’innovazione è soprattutto nell’orientamento e nell’impostazione della ricerca in cui è chiaramente prevalente il carattere cosmologico, sia per l’insistenza sul principio dell’uniformità del moto circolare celeste sia anche per le conseguenze che vengono tratte dai postulati moti di rotazione e di rivoluzione della terra. Non solo vengono così spiegati i consueti fenomeni dell’alternarsi del giorno e della notte, dello spostarsi apparente del sole sull’eclittica e delle retrogradazioni e stazioni dei pianeti; ma si dà anche una visione profondamente diversa della grandezza dell’universo: «il rapporto della distanza del sole e della terra rispetto all’altezza del firmamento è più piccolo di quello del raggio della terra alla distanza del sole, cosicché questa è impercettibile (‹insensibilis›) rispetto all’altezza del cielo delle stelle fisse» [153].

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NOTE
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[153]. ‹Erster Entwurf› cit., p. 10.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (…1a)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

[⇐]   Copernico aveva acquistato durante il suo soggiorno italiano le ‹Epistolae vel epistolarum formae› greche raccolte da Teofilatto Simocatta e ne aveva curato una versione latina. Questa venne affidata da Copernico a un amico degli anni di Cracovia, Lorenzo Rabe o Corvinus, che nel 1508, mentre viaggiava tra Toruń e Wrocław, la lesse e poi vi premise un poema elogiativo, facendo nel 1509 pubblicare il tutto a Cracovia [150], con la dedica di Copernico allo zio. Nel poema di Corvino v’è un passo significativo: «Hoc opus ex graeco in verba latina trahens Qui celere in lunae cursum, alternosque meatus Fratris, cum profugis tractat et astra globis mirandum. Omnipotentis opus: rerumque latentes causas scit miris quaerere principiis» [151]. Corvinus parla di principi ‹miri›, non ‹novi› (come gli avrebbe permesso la metrica), a proposito di Copernico e fa muovere il sole: si può quindi presumere che non conoscesse ancora, probabilmente perché non era formulata, la nuova teoria dell’amico [152], che quindi dovrebbe essere considerata posteriore al 1508, almeno nella formulazione scritta.

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NOTE
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[150]. Theophylactus Simocatta, ‹Epistolae morales, rurales et amatoriae interpretatione latina›, Cracoviae, 1509.

[151]. Cfr. l’edizione di Varsavia del 1854 del ‹De Revolutionibus›, p. 597.

[152]. Si vedano le considerazioni di E. Rosen in ‹Copernico e la cosmologia moderna› cit., pp. 171-2 e 175.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Barone·F • 6. Dal ‹Commentariolus› al ‹De Revolutionibus› (1…)

  •  B a r o n e  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  ‹I n t r o d u z i o n e›  •

Questo orientamento tipico risulta ancor meglio se si considera quello che è lo sviluppo «interno» del pensiero di Copernico tra il ‹Commentariolus› e il ‹De Revolutionibus›. Noi non sappiamo con esattezza la data di composizione del ‹Commentariolus› [149]: è ormai accertato che si tratta di una prima stesura del sistema copernicano, la cui elaborazione cade tra il 1509 e il 1514, negli anni cioè in cui Copernico, tornato in Warmia, era accanto allo zio Luca (morto nel 1512) come segretario e come medico, e cominciava a mettere a frutto i lunghi anni di meditazione e di studio. La data del 1° maggio 1514, registrata sul suo catalogo da un professore di Cracovia, Mattia da Miechów, come quella dell’ingresso nella sua biblioteca di un manoscritto contenente «la teoria di un autore che afferma che la terra si muove mentre il sole resta immobile», ci permette di identificare in tale lavoro il ‹Commentariolus› e di stabilire il termine ultimo per la composizione. Ma sino a quando si può risalire indietro? Alcuni hanno pensato ai primi anni dopo il ritorno dall’Italia, se non addirittura agli anni di Cracovia; ma ciò è improbabile.   [⇒]

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NOTE
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[149]. Si veda, in seguito, l’introduzione alla traduzione italiana del ‹Commentariolus›.

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Copernico • 5. Copernico e il Rinascimento (…10a)

  •  B a r o n e  (1 9 7 7)  •  O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o  •  I n t r o d u z i o n e  • 

[⇐]   Copernico, quindi, non va semplicemente alla ricerca di nuove congetture cosmologiche da contrapporre a quelle di origine aristotelica dei ‹naturales›. Ha certo giovato alla sua fantasia inventiva l’incontro con altre congetture cosmologiche, favorito dalla sua cultura di umanista; ma egli non vuole semplicemente congetturare con la fantasia sbrigliata. Come il suo problema originario era trovare una sintesi tra astronomia cosmologica e astronomia matematica, così nella soluzione ch’egli ritiene di poter proporre è sempre tenuta presente l’istanza della conciliazione tra la descrizione della realtà fisica e l’uso rigoroso delle tecniche matematiche. Se si può dunque dire che Copernico sia «pitagoreo», perché assieme a quegli antichi cosmologi-filosofi e con Aristarco, parla di un moto della terra, si deve altrettanto dire che non è «pitagorico» per una ragione più forte della sola non ammissione del fuoco centrale: non è pitagorico perché, almeno secondo quello che ci attestano i documenti di cui disponiamo, Copernico è il primo a parlare della mobilità della terra sviluppando in modo analitico le conseguenze di questa ipotesi, cioè comportandosi da cosmologo-scienziato.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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Copernico • 5. Copernico e il Rinascimento (10…)

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A confortarci in questa congettura sta del resto la testimonianza stessa del ‹Commentariolus› di Copernico, che, essendo destinato a circolare tra amici e competenti, non aveva le preoccupazioni di eleganza letteraria, secondo lo stile dei tempi, presenti invece nella lettera a Paolo III. Nel ‹Commentariolus›, infatti, dopo aver elencato le difficoltà riscontrabili nelle teorie degli omocentrici e degli eccentrici ed epicicli, Copernico dice che avendole avvertite, «saepe cogitabam» per cercare di trovare un sistema più razionale di cerchi, da cui fare derivare ogni irregolarità apparente, mossi tutti uniformemente attorno ai propri centri, «quemadmodum ratio absoluti motus poscit» [147]. E senza far cenno alle antiche dottrine enuncia le sette ‹petitiones› che sono le basi del suo sistema. Anzi, terminato l’elenco, si sente in dovere di aggiungere: «Proinde ne quis temere mobilitatem telluris asseverasse cum Pythagoricis nos arbitretur, magnum quoque et hic argumentum accipiet in circulorum declaratione» [148]. Egli quindi si vuole distinguere dai Pitagorici e teme che qualcuno possa pensare che, alla pari di essi, abbia ammesso avventatamente il moto della terra; ma il chiarimento che verrà dalla effettiva descrizione dei moti circolari mostrerà che non è così: si avrà la prova che il moto terrestre è argomentato da Copernico, anziché trattarsi di una semplice opinione avanzata senza la ricerca di soddisfacenti conferme.   [⇒]

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NOTE
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[147]. Cfr. ‹Erster Entwurf› cit., p. 10.

[148]. 𝐼𝑏𝑖𝑑., pp. 11-12.

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Copernico • 5. Copernico e il Rinascimento (…9a)

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[⇐]   Ma è assai significativo che proprio chi ha studiato con maggior attenzione il problema del «pitagorismo» di Copernico ritenga di poter concludere che Copernico «è pitagoreo, ma non pitagorico. Cioè è pitagoreo per quanto riguarda il movimento della terra… Non è pitagoreo quando parla del sole, poiché non si richiama al sole dei pitagorici» [145]: i pitagorici, infatti, ritenevano anche il sole ruotante attorno al fuoco centrale, di cui in Copernico non v’è traccia. Penso quindi che avesse ragione lo Schiaparelli quando affermava: «Io credo che Copernico sia giunto alla sua idea dietro proprie riflessioni, e che abbia poi cercato negli scritti degli Antichi i passi che potevano conciliare a quell’idea migliore accoglienza fra i dotti di una età, ove ‹antico› equivaleva a dir ‹venerabile› e ‹autorevole›» [146]. La possibilità di conoscere che nell’antichità c’era stato chi aveva pensato a una terra mobile si aveva anche semplicemente leggendo il ‹De caelo› di Aristotele: e la meditazione tecnica sul significato di tale mobilità non poteva trarre alcun vantaggio dalla conoscenza diretta delle testimonianze sui pitagorici; la ricerca di tali testimonianze, piuttosto, poteva essere condotta, nello spirito dell’umanesimo, da chi, come Copernico, sentiva tutta l’urgenza e la complessità di un problema che aveva ben più della semplice dimensione erudita.

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NOTE
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[145]. Cfr. B. Biliński in ‹Copernico e la cosmologia moderna› cit., p. 71. Del Biliński si veda anche l’ampio e minuzioso studio ‹Il pitagorismo di Niccolò Copernico› cit.

[146]. Così lo Schiaparelli in una lettera inviata a C. Malagola nel 1876 e da questi pubblicata nel suo libro ‹Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro›, Bologna, 1878, pp. 343 seg. La citazione è stata fatta dal Pasoli in G. Tabarroni - E. Pasoli, ‹Copernico Keplero Galileo› cit., p. 27.

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Copernico • 5. Copernico e il Rinascimento (9…)

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Che dire infine del «pitagorismo» di Copernico? Se per l’ermetismo e il culto solare non abbiamo testimonianze significative di un influsso, sembrerebbe invece che tali testimonianze ci siano a proposito delle idee dei pitagorici. Nella lettera di dedica a Paolo III, Copernico, subito dopo aver accennato alla sua insofferenza di fronte all’incomprensione del meccanismo cosmico creato dal «migliore e più regolare degli artefici», afferma che si mise per ciò a «rileggere le opere di tutti i filosofi» che aveva «a disposizione, per vedere se mai qualcuno di essi avesse pensato che i movimenti delle sfere del mondo fossero diversi da quelli che ammettono coloro che nelle scuole insegnano matematica» [143]: e fa i nomi di pitagorici, da Iceta a Filolao, da Eraclide Pontico a Ecfanto, con riferimento alle loro opinioni circa i moti di rotazione della terra e della sua rivoluzione attorno al fuoco centrale, assieme al sole e alla luna. Tesori di diligenza ed erudizione sono stati spesi per cercare di determinare attraverso quali fonti e in quale periodo (forse addirittura ancora a Cracovia) Copernico sia pervenuto ad avere questi dati; e si può dar per certo che i suoi studi in Italia gli resero più agevole l’accesso alle fonti [144].   [⇒]

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NOTE
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[143]. ‹De Revolutionibus› cit., p. 4, r. 37-40.

[144]. È provato, già negli ‹Stromata Copernicana› cit., di L.A. Birkenmajer (pp. 162-3) — cfr. anche E. Rybka, ‹Four Hundred› cit., pp. 72-3 e A. Birkenmajer, ‹Études› cit., p. 627 nota —, che molti riferimenti ai classici reperibili nel ‹De Revolutionibus› vennero a Copernico dall’opera enciclopedica dell’umanista piacentino Giorgio Valla, pubblicata a Venezia nel 1501, ‹De expetendis et fugiendis rebus›. Quest’opera, che fu acquistata da Copernico durante il suo secondo soggiorno in Italia, era un repertorio scientifico soprattutto di matematica, scienze naturali e medicina.

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Copernico • 5. Copernico e il Rinascimento (…8a)

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[⇐]   Ed indubbiamente questo è anche il caso di Copernico. Ma una rivoluzione scientifica si distingue da una rivoluzione culturale proprio perché conserva, nonostante tutto, alcune caratteristiche dei momenti «normali» della scienza, quando non sono in gioco i paradigmi bensì le soluzioni di problemi specifici, che nascono dalla trattazione tecnica degli argomenti. Scienza è certo inventare teorie; ma la sua natura specifica è altrettanto data dal mettere alla prova tali teorie: cioè dal calcolare, dal controllare sperimentalmente o mediante osservazioni, dal ricavare da esse tutte le possibili conseguenze da sottoporre a controllo. E Copernico segue questa via «normale» della scienza nella maggior parte del ‹De Revolutionibus›. Studiare lo sfondo platonico [142], con i suoi miti solari, è quindi indispensabile per capire la «possibilità» di un Copernico, per cercare di comprendere la via da lui scelta nella soluzione del suo «problema» (mediante la rinuncia al paradigma dell’immobilità della terra e al [sic!] conseguente eliocentrismo ed eliostaticismo): quella via era facilitata dai temi culturali del tempo. Ma Copernico, come scienziato «normale», ha fatto qualcosa che tutti i cultori mistici e filosofici del mito solare non hanno fatto e non potevano fare all’interno della loro prospettiva: controllare ‹more scientifico› la propria ipotesi. Basta non fermarsi al libro primo del capolavoro copernicano per scorgere quanto siano essenziali osservazioni e calcoli e come essi costituiscano una differenza abissale tra il ‹De Revolutionibus› e il ‹De Sole› di Marsilio Ficino. Se la si trascura, la personalità di Copernico si dissolve in una nebbia di riferimenti culturali.

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NOTE
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[142]. È opportuno, tuttavia, in tale studio non forzare in uno schema pregiudiziale i dati filologici di cui si dispone. A ciò pare invece inclinare il Garin allorché afferma — ‹Rinascite e rivoluzioni› cit., p. 317 — che «[Copernico] specialmente nella stesura manoscritta del ‹De revolutionibus› accentuava con forza gli spunti ermetici e platonizzanti. Non a caso il primo libro terminava con l’intera lettera di Liside a Ipparco, che anche il Bessarione aveva inserito all’inizio dell’‹In calumniatorem Platonis…› quale sigillo del “mistero” platonico». E siccome nell’‹editio princeps› tale lettera è solo più [sic!] citata nella dedica a Paolo III (‹De Revol.› cit., p. 3, r. 19-20), mentre non compare alla fine del cap. 11 del libro I, a cui seguono ancora i capitoli 12, 13, 14, Garin crede di poter concludere (𝑜𝘱. 𝑐𝑖𝑡., p. 266 nota): «Non fu, tuttavia, certo Copernico a toglierla, ma chi premise all’opera il testo dell’Osiander. Il silenzio pitagorico avvolge la verità — e Copernico crede “vera” la sua tesi — mentre è inutile nel caso di una pura ipotesi “matematica”». Copernico ritiene vera la sua tesi; ma tutto il resto di questo discorso è un troppo sottile argomentare per amor di tesi. Si dimentica infatti che: a) la lettera è ancora citata nella ‹editio princeps›; b) le cancellature del manoscritto a noi giunto sono di Copernico, e la lettera di Liside (foglio 11 𝑣 e 12 𝑟 e 𝑣) vi è cancellata; c) la cancellatura si giustifica poiché se la lettera aveva letterariamente senso come chiusura di libro, non aveva più alcuna motivazione quando al libro I venivano aggiunti i capitoli 12, 13 e 14 con gli elementi di trigonometria piana e sferica.

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[]  F.  B a r o n e  (a  c u r a  d i),  ‹O p e r e  d i  N i c o l a  C o p e r n i c o›,  U T E T,  1 9 7 9.
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