Due temi erano comuni alla dottrina e all’insegnamento di ‹naturales› e ‹mathematici›, quasi formando il paradigma di fondo dell’astronomia greca e medievale: il primo era l’affermazione dell’immobilità della terra al centro (o quasi al centro) dell’universo delimitato dalla sfera delle stelle fisse; il secondo stabiliva, come già aveva detto Platone [70], che il moto di tutti i corpi celesti, dalla sfera delle stelle fisse ai pianeti (comprendenti il sole e la luna), attorno alla terra immobile, era circolare e uniforme. Motivi metafisici avevano suggerito agli antichi Greci che le caratteristiche della circolarità e dell’uniformità dei moti fossero inscindibili dalla natura perfetta, immutabile e divina dei corpi celesti, a differenza del moto degli elementi sublunari (terra, acqua, aria, fuoco), che non è uniforme ma accelerato e non circolare ma rettilineo verso i loro luoghi naturali, il centro della terra per quelli pesanti e l’alto per i leggeri. Al di fuori di questi due temi, tuttavia, ‹naturales› e ‹mathematici› divergevano profondamente: mentre i primi davano un’immagine del mondo e una spiegazione dei fenomeni celesti servendosi del sistema delle sfere omocentriche, i secondi si valevano per i loro calcoli e previsioni di un complesso di cerchi (deferenti concentrici o eccentrici rispetto al centro del mondo, epicicli ed equanti), che, secondo il modello dell’‹Almagesto› di Tolomeo, erano semplici strumenti matematici per determinare ad ogni istante la posizione dei corpi celesti nei loro spostamenti.
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NOTE
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[70]. Platone, ‹Repubblica›, 617 a.
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[] F. B a r o n e (a c u r a d i), ‹O p e r e d i N i c o l a C o p e r n i c o›, U T E T, 1 9 7 9.
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