[⇐] Matematicamente, una soluzione equivalente era data da un deferente concentrico su cui si muovesse un epiciclo sul quale ruotasse ancora un altro epiciclo portante il pianeta. La varietà dei moti era quindi rappresentabile con un opportuno numero di epicicli e con l’introduzione, talvolta, di un altro tipo di cerchi, gli equanti, che non erano palesemente interpretabili in senso fisico e che servivano come semplici ipotesi ‹ad hoc› per salvare, matematicamente, il paradigma dell’uniformità dei moti celesti: anche la distanza variabile dei pianeti dalla terra trovava con il movimento epiciclico quella possibilità di rappresentazione e calcolo che mancava nel procedimento delle sfere omocentriche. Così si spiega il successo, che durò per secoli, dell’astronomia tolemaica dell’‹Almagesto›, che divenne il modello seguito da tutti gli astronomi tecnici. Molte variazioni furono introdotte nei particolari della trattazione tolemaica per sempre meglio cercare (entro i limiti dell’osservazione a occhio nudo) di «salvare» (cioè darne una regolare interpretazione matematica) i fenomeni; ma rimase inalterato lo spirito tecnico-predittivo e non cosmologico che Tolomeo aveva dato alla sua opera [76], la quale era uno strumento di calcolo e non la rappresentazione unitaria di un sistema del mondo. Parlare di «sistema tolemaico», a rigor di termini, è altrettanto improprio come considerare unitaria la trattazione eudossiana dei fenomeni celesti mediante le sfere omocentriche [77]: siamo sempre di fronte, sia pur con una tecnica migliorata, ad escogitazioni puramente matematiche per la rappresentazione (in base ai canoni della circolarità e uniformità dei moti) dei movimenti d’ogni singolo pianeta.
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NOTE
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[76]. Che Tolomeo sia un puro astronomo matematico è vero se si tiene presente l’opera sua, l’‹Almagesto›, che ebbe più peso nella storia dell’astronomia. Ma una sua opera più tarda, ‹Hypotheses Planetarum›, di cui ci è giunta solo la versione araba, aveva un punto di vista tutto diverso dall’‹Almagesto› rispetto al problema della realtà fisica: con schietta ambizione cosmologica mirava a dare una realizzazione del modello matematico degli epicicli ed eccentrici. Bernard Goldstein ha di recente (in «Transactions of the American Philosophical Society» LVII, 4, 1967) tradotto in inglese ‹The Arabic Version of Ptolemy’s Planetary Hypothesis›. Sulla via tracciata da Tolomeo in quest’opera si pose anche l’astronomo arabo Ibn al-Haytam (sec. X-XI) che diede nel ‹Compendio di Astronomia› un particolareggiato modello meccanico del moto dei pianeti (cfr. S.H. Nasr, ‹Scienza e civiltà nell’Islam› cit., pp. 145-7). Tenendo presente ciò, si può anche dire — ma probabilmente Copernico non lo sapeva — che Tolomeo, ch’egli considerava il modello da eguagliare e superare con il suo capolavoro, l’aveva in certo qual modo anticipato anche nel suo progetto di sintetizzare aspetti matematici e cosmologici dell’astronomia. L’originalità di Copernico consiste tuttavia in ogni caso nell’aver tentato tale sintesi in un’unica opera.
[77]. Cfr. N.R. Hanson, ‹Constellations and Coniectures› cit., pp. 146-7. Un’analoga osservazione circa la non-sistematicità della trattazione di Tolomeo in A. Koyré, ‹La rivoluzione astronomica› cit., p. 84, nota 23.
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[] F. B a r o n e (a c u r a d i), ‹O p e r e d i N i c o l a C o p e r n i c o›, U T E T, 1 9 7 9.
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