Ciò che di vero c’è in queste asserzioni è che Copernico non elaborò una cosmologia «copernicana»: ma non si può storiograficamente valutare un risultato scientifico commisurandolo con il futuro anziché col passato; non è necessariamente una colpa non realizzare tutte le conseguenze implicite nella propria posizione (ché spesso si tratta di lavoro di secoli), ma è certo un merito saper innovare rispetto ad una tradizione consolidata. E quella della distinzione-separazione tra ‹naturales› e ‹mathematici› era così salda che anche Copernico l’ammette e si mette nel novero dei secondi per la sua stessa preparazione specifica, quando si imbatte in problemi (come quello dell’infinità dell’universo) che non si sente o non ritiene di affrontare, in quanto non dispone di sufficienti elementi osservativi e concettuali. Egli non si pone tra i ‹naturales› perché non si interessa dei problemi dell’essenza e delle cause: ma dei ‹naturales›, tuttavia, sente il problema della «verità» e fa propria la questione circa la corrispondenza reale di quegli strumenti matematici ch’egli usa come tecnico per calcolare e prevedere; e la sua risposta è positiva. Il suo interesse cosmologico (e quindi la novità rispetto alla tradizione) si esplica dunque in questo «realismo» e nel rifiuto dello strumentalismo pragmatistico per cui, una volta determinate le posizioni e i moti dei pianeti, l’astronomo ‹non si cura› donde ciò risulti, se dall’esistenza o meno nei cieli di certe strutture matematiche [91]. Tale interesse copernicano è la condizione indispensabile e l’avvio di una cosmologia moderna che pur sarà realizzata di là da Copernico [92].
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NOTE
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[91]. Sul senso in cui va interpretata la distinzione che Copernico fa di sé nei confronti dei ‹naturales›, cfr. la nota di A. Birkenmajer a p. 366 di ‹N. Copernici De Revolutionibus› cit. Quando i problemi che esamina toccano da vicino il suo lavoro di astronomo, Copernico non teme di affrontare i ‹naturales›, cioè i ‹physiologi› sul loro terreno, come nel ‹Commentariolus› (cfr. ‹Erster Entwurf› cit., pp. 11-2) allorché avverte: «Che dunque qualcuno non pensi che abbiamo affermato avventatamente, con i Pitagorici, il movimento della terra, perché si troverà anche qui una prova nella spiegazione dei cerchi. Infatti le prove con cui i fisiologi cercano soprattutto di mostrare la sua immobilità poggiano per lo più sui fenomeni: sono queste prove che per prime crollano, perché appunto noi a causa di ciò che appare (‹apparentia›) mettiamo in moto la terra».
[92]. È significativo che uno dei fondatori di questa cosmologia, Galileo Galilei, abbia appunto visto e sottolineato ripetutamente in Copernico l’impegno e la passione cosmologici. Cfr., ad es., la lettera del 23 marzo 1614 a Mons. Pietro Dini (in ‹Le opere di Galileo Galilei›, ed. naz., Firenze, 1968, vol. V, pp. 297-8): «…Copernico aveva già per avanti fatta la fatica, e satisfatto alla parte de gli astrologi secondo la consueta e ricevuta maniera di Tolomeo; ma che poi vestendosi l’abito di filosofo e considerando se tal costituzione delle parti dell’universo poteva realmente sussistere ‹in rerum natura›, e veduto che no, e parendogli pure che il problema della vera costituzione fusse degno d’esser ricercato, si messe all’investigazione di tal costituzione, conoscendo che se una disposizione di parti finta e non vera poteva satisfar all’apparenze, molto più ciò si sarebbe ottenuto dalla vera e reale». L’interpretazione realista del sistema copernicano è riconfermata del resto nelle ‹Considerazioni circa l’opinione copernicana› (in ‹Le opere› cit., vol. V, pp. 349-70), scritte poco prima della famosa lettera del cardinal Roberto Bellarmino a Paolo Antonio Foscarini in data 12 aprile 1615 (‹Le opere› cit., vol. XII, pp. 171-2), nella quale si difende l’interpretazione strumentalistica di Copernico data dall’Osiander. V’è, infine, una bella pagina del ‹Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo› (in ‹Le opere› cit., vol. VII, p. 369), in cui sono ribaditi i concetti già espressi nella lettera al Dini sulla maggiore fertilità delle «supposizioni vere»: avendole Copernico trovate nell’ammissione del moto diurno e annuo della terra, «cominciò a riscontrar con queste due nuove supposizioni le apparenze e le particolarità de i moti de i pianeti, le quali tutte cose egli aveva prontamente alle mani, e vedendo il tutto con mirabil facilità corrisponder con le sue parti, abbracciò questa nuova costituzione e in essa si quietò».
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[] F. B a r o n e (a c u r a d i), ‹O p e r e d i N i c o l a C o p e r n i c o›, U T E T, 1 9 7 9.
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