La storia dell’astronomia avrebbe forse avuto in questo modo uno svolgimento abbastanza lineare se nel IV sec. a.C., quando la teoria delle sfere omocentriche era in piena fioritura, essa non fosse stata accettata e incorporata da Aristotele nella sua filosofia della natura. Aristotele non era un matematico e, pur apprezzando i meriti tecnici delle dottrine di Eudosso e Callippo, il suo intento era tuttavia diverso, mirando egli alla conoscenza della struttura reale dell’universo, ad una spiegazione dinamica e non soltanto cinematica dei moti celesti. In più egli «voleva un universo e non un pluriverso» [78], come risultava invece quello del fondatore della teoria delle sfere omocentriche: non si trattava per Aristotele tanto di spiegare i moti dei singoli pianeti presi isolatamente, quanto piuttosto di dare un modello del meccanismo fisico del mondo intero. Quindi egli aumentò il numero delle sfere — poiché tra quelle che servivano a spiegare i moti di un pianeta superiore e quelle che servivano per un pianeta immediatamente inferiore dovette inserirne altre che legassero il tutto e al tempo stesso, con rotazione contraria, rendessero indipendente il pianeta inferiore da quello superiore [79] — e le trasformò in sfere cristalline, materialmente operanti come parti di una macchina.
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NOTE
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[77]. Cfr. N.R. Hanson, ‹Constellations and Coniectures› cit., pp. 146-7. Un’analoga osservazione circa la non-sistematicità della trattazione di Tolomeo in A. Koyré, ‹La rivoluzione astronomica› cit., p. 84, nota 23.
[78]. 𝑂𝘱. 𝑐𝑖𝑡., p. 65.
[79]. Cfr. Aristotele, ‹Metaphysica›, A, 1073 b 17 - 1074 a 14.
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[] F. B a r o n e (a c u r a d i), ‹O p e r e d i N i c o l a C o p e r n i c o›, U T E T, 1 9 7 9.
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