Nel secondo capitolo di ‹Attacco all’arte› siamo andati alla ricerca delle radici di questa violenza omicida in nome di Dio, indagando la particolare forma di iconoclastia che vi è strettamente connessa, con l’aiuto di esperti fra i quali la bizantinista Silvia Ronchey, l’archeologo scopritore di Ebla Paolo Matthiae e il poeta siriano Adonis che leggono questo fenomeno in parallelo con l’iconoclastia cristiana e la condanna delle immagini che unisce tutti e tre i monoteismi.
Ma una strisciante e silenziosa forma di iconoclastia, senza trapani e picconi, sembra dilagare anche nel ricco Occidente, dove il mainstream del contemporaneo è imposto da pochi plurimiliardari tycoon che hanno fatto dell’arte uno strumento pubblicitario, declinato in gigantesche installazioni kitsch e immagini piatte, svuotate di ogni contenuto. Per l’‹homo oeconomicus› del tardo capitalismo l’arte è una merce come un’altra, un mezzo di speculazione e giochi finanziari. Non accade solo a New York, a Londra o a Shanghai.
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[] S. M a g g i o r e l l i, ‹A t t a c c o a l l’ a r t e›, L’ A s i n o d’ o r o, 2 0 1 7.
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