[⇐] Ed indubbiamente questo è anche il caso di Copernico. Ma una rivoluzione scientifica si distingue da una rivoluzione culturale proprio perché conserva, nonostante tutto, alcune caratteristiche dei momenti «normali» della scienza, quando non sono in gioco i paradigmi bensì le soluzioni di problemi specifici, che nascono dalla trattazione tecnica degli argomenti. Scienza è certo inventare teorie; ma la sua natura specifica è altrettanto data dal mettere alla prova tali teorie: cioè dal calcolare, dal controllare sperimentalmente o mediante osservazioni, dal ricavare da esse tutte le possibili conseguenze da sottoporre a controllo. E Copernico segue questa via «normale» della scienza nella maggior parte del ‹De Revolutionibus›. Studiare lo sfondo platonico [142], con i suoi miti solari, è quindi indispensabile per capire la «possibilità» di un Copernico, per cercare di comprendere la via da lui scelta nella soluzione del suo «problema» (mediante la rinuncia al paradigma dell’immobilità della terra e al [sic!] conseguente eliocentrismo ed eliostaticismo): quella via era facilitata dai temi culturali del tempo. Ma Copernico, come scienziato «normale», ha fatto qualcosa che tutti i cultori mistici e filosofici del mito solare non hanno fatto e non potevano fare all’interno della loro prospettiva: controllare ‹more scientifico› la propria ipotesi. Basta non fermarsi al libro primo del capolavoro copernicano per scorgere quanto siano essenziali osservazioni e calcoli e come essi costituiscano una differenza abissale tra il ‹De Revolutionibus› e il ‹De Sole› di Marsilio Ficino. Se la si trascura, la personalità di Copernico si dissolve in una nebbia di riferimenti culturali.
_____
NOTE
¯¯¯¯¯
[142]. È opportuno, tuttavia, in tale studio non forzare in uno schema pregiudiziale i dati filologici di cui si dispone. A ciò pare invece inclinare il Garin allorché afferma — ‹Rinascite e rivoluzioni› cit., p. 317 — che «[Copernico] specialmente nella stesura manoscritta del ‹De revolutionibus› accentuava con forza gli spunti ermetici e platonizzanti. Non a caso il primo libro terminava con l’intera lettera di Liside a Ipparco, che anche il Bessarione aveva inserito all’inizio dell’‹In calumniatorem Platonis…› quale sigillo del “mistero” platonico». E siccome nell’‹editio princeps› tale lettera è solo più [sic!] citata nella dedica a Paolo III (‹De Revol.› cit., p. 3, r. 19-20), mentre non compare alla fine del cap. 11 del libro I, a cui seguono ancora i capitoli 12, 13, 14, Garin crede di poter concludere (𝑜𝘱. 𝑐𝑖𝑡., p. 266 nota): «Non fu, tuttavia, certo Copernico a toglierla, ma chi premise all’opera il testo dell’Osiander. Il silenzio pitagorico avvolge la verità — e Copernico crede “vera” la sua tesi — mentre è inutile nel caso di una pura ipotesi “matematica”». Copernico ritiene vera la sua tesi; ma tutto il resto di questo discorso è un troppo sottile argomentare per amor di tesi. Si dimentica infatti che: a) la lettera è ancora citata nella ‹editio princeps›; b) le cancellature del manoscritto a noi giunto sono di Copernico, e la lettera di Liside (foglio 11 𝑣 e 12 𝑟 e 𝑣) vi è cancellata; c) la cancellatura si giustifica poiché se la lettera aveva letterariamente senso come chiusura di libro, non aveva più alcuna motivazione quando al libro I venivano aggiunti i capitoli 12, 13 e 14 con gli elementi di trigonometria piana e sferica.
__________◊ authp_F_r_a_n_c_e_s_c_o_B_a_r_o_n_e
KEYWORDS
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
◊ authp_F_B_a_r_o_n_e
◊ authp_B_a_r_o_n_e
◊ auths_N_i_c_o_l_a_C_o_p_e_r_n_i_c_o
◊ auths_N_C_o_p_e_r_n_i_c_o
◊ auths_C_o_p_e_r_n_i_c_o
◊ cover_O_p_e_r_e_d_i_N_i_c_o_l_a_C_o_p_e_r_n_i_c_o
◊ cover_O_p_e_r_e_d_i_C_o_p_e_r_n_i_c_o
◊ cover_O_p_e_r_e
◊ edit_U_T_E_T
◊ yauth_1_9_7_7, yedit_1_9_7_9
◊ book_quote, lantxt_it, hdr_v2
• keywords_da_inserire
_____
[] F. B a r o n e (a c u r a d i), ‹O p e r e d i N i c o l a C o p e r n i c o›, U T E T, 1 9 7 9.
¯¯¯¯¯
Nessun commento:
Posta un commento