Giordano Bruno, nella celebre ‹Cena de le ceneri›, è il modello tipico, ripetuto poi innumeri volte, dell’interprete che pretende cogliere l’«essenza» del ‹De Revolutionibus› senza curarsi dei «particolari», anzi, assumendo un atteggiamento critico nei loro confronti. Per Bruno, Copernico è molto superiore a Tolomeo, Ipparco, Eudosso «e a tutti gli altri, ch’han caminato appo i vestigi di questi. Al che è dovenuto per essersi liberato da alcuni presuppositi falsi de la comone e volgar filosofia, non voglio dir cecità. Ma però non se n’è molto allontanato; perché lui, più studioso de la matematica che de la natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficultà e venesse a liberar e sé ed altri da tante vane inquisizioni e fermar la contemplazione ne le cose costante e certe» [10]. Non voglio affatto dire che l’interpretazione bruniana di Copernico non sia di grande importanza per la «rivoluzione copernicana», con la sua accentuazione metafisica di temi matematici e fisici: tale rivoluzione, nella sua incidenza sulla ‹Weltanschauung›, è altrettanto bruniana che copernicana. Ma l’interpretazione di Bruno, ch’è palesemente fondata solo sulla lettura (non sempre buona) del primo libro del ‹De Revolutionibus›, trascura l’opera effettiva di Copernico; anzi, Bruno, che nella ‹Cena de le ceneri› dà manifeste prove di incomprensione nei confronti della matematica [11], accusa Copernico di essere «più studioso de la matematica che de la natura», falsando così manifestamente — in nome di alcune sue convinzioni filosofiche — il proposito che traspare da tutta l’opera copernicana: quello, cioè, di studiare la natura mediante la matematica.
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NOTE
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[10]. G. Bruno, ‹La cena de le ceneri›, in ‹Opere italiane. I. Dialoghi metafisici›, con note di G. Gentile, Bari, 1925², p. 22. È singolare il fatto che il Bruno, nel seguito di questo brano per ben due volte (a pp. 22 e 23) definisca il Copernico «germano» e «alemano».
[11]. Si vedano, ad esempio, le note a pp. 74 e 124 dell’edizione citata della ‹Cena de le ceneri›. Notava lo Schiaparelli — in F. Tocco, ‹Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con le italiane›, Firenze, 1889, p. 314 — che il Bruno «descrive i moti della Terra secondo il sistema di Copernico, non quale si trova nel libro ‹De Revolutionibus›, ma secondo l’interpretazione ed immaginazione sua. Non avendo egli idee precise di geometria e non conoscendo bene il linguaggio di questa scienza, la spiegazione dei suoi confusi e indeterminati concetti, presentata in parole e frasi anche più confuse, è avvolta in una grande oscurità, la quale credo sia opera disperata di volere interamente dilucidare».
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[] F. B a r o n e (a c u r a d i), ‹O p e r e d i N i c o l a C o p e r n i c o›, U T E T, 1 9 7 9.
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